Laszlo Alexandru
“RESISTENZA PER MEZZO DELLA CULTURA” – CINQUE PARADOSSI
“Assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente”
(Dante)
1) Il termine di “resistenza per mezzo della cultura” non c’è stato, come tale, durante il regime comunista. Si possono appurare, con grande attenzione, le pagine della stampa culturale o quelle dei libri usciti a quei tempi. Non credo si troverà da qualche parte questo concetto enunciato, spiegato o analizzato, prima della fine degli anni ‘80. Si tratta, infatti, di una espressione creata post festum, dopo la ribellione anticomunista del dicembre 1989, e dovuta a giustificare, agli occhi del pubblico, la passività dell’intellighenzia autoctona, il suo compiacersi con la dittatura, le sue piccole manovre di individuale accomodamento e di prudente perduranza. Il Signor Jourdain ha parlato per decine d’anni in prosa, alla sua propria insaputa. La società culturale romena ha affrontato il dispotismo, per decenni, senza saperlo e senza dirlo a nessuno.
2) La “resistenza per mezzo della cultura” sostiene l’ipotesi che i grandi scrittori romeni non siano stati complici dell’instaurazione e del mantenersi della dittatura. Loro si sarebbero preoccupati della propria opera e in tal modo, evitando le coercizioni della politica, avrebbero salvato la loro anima. Se diamo però un piccolo sguardo sull’Antologia della vergogna, raccolta da Virgil Ierunca, ne rimaniamo stupiti. Autori tra i più rappresentativi si sono impegnati a glorificare il comunismo e il tiranno bisciolo.
“Non ci può essere maggior onore per uno scrittore che quelllo di poter parlare qui, nella Romania socialista, a suo figlio, ai suoi fratelli, al suo popolo (...). Poiché qui abbiamo una storia, il Paese viene nobilitato come patria socialista, e l’uomo come essere della verità, sovrano della libertà” (Ioan Alexandru); “Vorrei ricordare, in questo senso, l’appello rivolto agli artisti dal segretario generale del partito, due anni fa, alla Presentazione della Riunione di novembre del Comitato Centrale. (...) Non è forse questo lo stesso senso dell’iniziazione nella cultura, dell’introduzione nello spazio spirituale?” (Nicolae Balotă); “Ma si dovrebbero citare integralmente i discorsi del compagno Nicolae Ceaușescu, i suoi scritti di storica importanza, elaborati con uno stile chiaro, sobrio, equilibrato, efficiente. Lo stile di un autore di grande classe, non per caso tradotto in tante lingue straniere su tutti i meridiani” (George Bălăiţă); “Sono ben 12 anni che il compagno Nicolae Ceaușescu è passato alla guida del partito e dello stato, ma questi anni, così generosi in eventi, ci hanno arricchito di un’enorme esperienza, ci hanno mostrato le nostre reali dimensioni, il nostro vero sguardo e la nostra forza” (Augustin Buzura); “Ho esaltato mari e monti / - il loro abbraccio in mondo avido – / ed eccomi, ancora ti canto / toni d’omaggio, grande Partito!” (Radu Cârneci); “Per la forza entusiasta della parola, nonché per l’onnipresenza in tutti i campi del lavoro, dimostrando un’attività instancabile e mobilitando l’intera nazione in un grandioso slancio creatore, il segretario generale del Partito, il compagno Nicolae Ceaușescu, si include tra i grandi animatori dei popoli di tutti i tempi” (Șerban Cioculescu); “Da storico, io vivo un sentimento di gratitudine per lo stimolante apprezzamento ricevuto dalla più alta autorità politica del nostro popolo ed espresso sia nei documenti programmatici, che nel Rapporto del segretario generale, il compagno Nicolae Ceaușescu” (Emil Condurachi, membro dell’Accademia); “Un Paese piccolo, sottomesso a numerose intemperie specifiche per l’incrocio di tante vie geografiche e storiche, la Romania si è imposta per il carattere, l’intelligenza e il temperamento del suo Presidente – come una tra le più forti personalità nella città delle nazioni, un’immagine di unica espressività...” (Radu Cosașu); “La storia ha avuto secoli dorati, di grande progresso. Il secolo di Pericle, l’epoca di Luigi XIV, l’era elisabettiana ecc. Ma tutti questi periodi di magnifico e augusto splendore erano accompagnati da una miseria crassa e dalle disgrazie atroci, generate da un regime ovviamente iniquo. Per la prima volta, la rinascita della Romania, che si identifica con Ceaușescu, ci presenta un’epoca d’oro in cui governano la giustizia sociale, la libertà umana, la dignità dell’individuo umano. Per questo la prosperità materiale e la crescita spirituale è [sic! - L.A.] il frutto diretto delle generosità, delle qualità e delle verità insuperate” (Radu Enescu); “Tocca ai responsabili educativi – la scuola e l’Unione dei Giovani Comunisti, che hanno in questo senso le più importanti responsabilità – di fare di tutto per insistere sul lato politico della personalità dei giovani, per fare sviluppare in loro la coscienza del maggiore scopo della nostra società: la costruzione della tappa superiore del socialismo e la graduale evoluzione verso l’edificazione del comunismo in Romania” (Constantin C. Giurescu); “Così si spiega l’orgoglio di un intero popolo che, a 33 anni dalla Liberazione, si sente veramente il padrone del suo destino. Così si spiega anche l’unanimo amore che abbraccia l’uomo che, a capo del Partito e dello Stato, ne rappresenta il genio creatore nello spazio dei fatti di oggi e nel coraggio dello sguardo verso il futuro. Così si spiega anche il pensiero e la voce che lo esprimono nella vibrante gioia della grande festa: Ceaușescu-Romania!” (George Ivașcu); “La letteratura deve esprimere in modo meno declamativo, ma più profondo e più concentrato, la drammatica lotta che la nostra nazione porta avanti per mettere in pratica un incomparabile ideale sociale: il comunismo” (Cezar Ivănescu); “La rivoluzione culturale realizzata dal nostro partito ha spalancato le porte verso la cultura contadinesca. Gli scrittori, messi davanti a un pubblico sempre più avido di un buon libro, dovranno pensare quindi alle parole del compagno Ceaușescu, che ci ha annunciato la crescita del numero delle città nel nostro Paese, l’evoluzione del processo sociale per l’eliminazione delle grandissime differenze tra la città e la campagna, quindi il notevole aumento del numero di lettori” (Marin Preda); “Mai la nostra patria ha goduto di un simile prestigio, di una simile forza dei valori e di una simile nobiltà delle idee in piena espansione, comme oggi. (...) Il Partito Comunista Romeno drizza le sue antenne verso la creazione della Romania di domani...” (Mircea Horia Simionescu); “Festeggiamo il 60-o anniversario del nostro caro presidente Nicolae Ceaușescu e 45 anni di attività di quest’uomo (...), il più operoso tra gli operai, il più contadino tra i contadini...” (Nichita Stănescu); “Il nostro Stato è uno stato socialista. La politica del nostro stato riflette la vocazione e le virtù di un popolo che, avendo conosciuto a lungo l’oppressione sociale e nazionale, ha scelto una volta per sempre la strada più sicura e più giusta, che rende impossibile da oggi in poi il ritorno al passato, a quello che era una grave e dannosa sconsideratezza della sua vocazione storica e delle sue virtù innate” (Constantin Ţoiu).
Dai brani citati sopra, che si possono completare con tanti altri, si nota che l’adulazione servile del Partito Comunista Romeno e del suo Segretario Generale non ha niente a che fare con la resistenza davanti al Partito Comunista Romeno e davanti al suo Segretario Generale. Come ce lo spiega molto chiaramente Dante, “né pentere e volere insieme puossi / per la contradizion che nol consente”.
3) Non è stato ancora steso un elenco degli scrittori che avrebbero praticato “la resistenza per mezzo della cultura”. Ma si può fare senza grandi sforzi, anche dagli esempi precedenti, una veloce enumerazione degli autori che si sono chinati in pubblico davanti alla dittatura: Ioan Alexandru, Nicolae Balotă, George Bălăiţă, Augustin Buzura, Radu Cârneci, Șerban Cioculescu, Emil Condurachi, Radu Cosașu, Radu Enescu, Constantin C. Giurescu, George Ivașcu, Cezar Ivănescu, Marin Preda, Mircea Horia Simionescu, Nichita Stănescu, Constantin Ţoiu ecc. Tutti coloro non possono mantenere la botte piena e la moglie ubriaca: sia come elogiatori del Partito Comunista e del Segretario Generale, sia come resistenti contro questi.
4) Con la rivelazione progressiva degli archivi della Securitate, si osserva che un numero di prestigiosi autori si sono occupati con la delazione dei loro colleghi, a beneficio della dittatura. È impossibile includere tra i resistenti per mezzo della cultura, ad esempio, Constantin Noica, il filosofo che viaggiava all’estero a fare il tifo per Ceauşescu e che, tornato dai suoi peripli occidentali, dava dei consigli ai servizi segreti su come si potevano combattere le iniziative anticomuniste dell’esilio. Né Adrian Marino, che metteva il suo prestigio enciclopedico a favore degli interessi propagandistici esterni del regime totalitario. Né Mircea Iorgulescu, che usava allusioni-sovversioni per parlarci della Grande Chiacchierata del regime comunista e, allo stesso tempo, con gli pseudonimi “Dorin” e “Mirel”, denunciava ai servizi segreti i suoi amici Bujor Nedelcovici e Dorin Tudoran. Né Nicolae Balotă (“Someşan”). Né Alexandru Paleologu. Né Ştefan Aug. Doinaş. Tanto meno Sorin Antohi.
5) Un’altra categoria di persone che cercano di approfittare della “resistenza per mezzo della cultura” è rappresentata dagli stessi responsabili ideologici del rinsaldamento del comunismo. L’accademico Dan Berindei si chiede direttamente e ci risponde con determinatezza: “C’è stata o non c’è stata la resistenza per mezzo della cultura? Ovviamente, c’è stata e senza la sua esistenza la cultura di questa nazione sarebbe andata persa”. Va be’, questo l’ho capito. Ma come si è manifestata? Boh, per esempio, Adrian Păunescu ha suscitato grandi discussioni con la sua Ingiusta grammatica. Ci sono poi stati “i film storici di Sergiu Nicolaescu, che hanno trasmesso a centinaia di migliaia di romeni delle realtà che erano state nascoste per quasi due decenni”. E lo stesso storico che ci sta parlando, “sulla rivista Studii ho pubblicato un articolo, 53 anni fa, in cui indicavo che i liberali radicali – guidati da C.A. Rosetti e I.C. Brătianu – erano i partigiani della liberazione dei contadini poveri e della loro trasformazione in proprietari, quello che era vero, ma anche opposto alla linea ideologica imposta da Mihai Roller”. In seguito a questa straordinaria audacia, Dan Berindei è stato “sottoposto allora alle critiche del giornale ufficioso Scînteia e della Lupta de clasă e perfino in un editoriale della rivista su cui avevo pubblicato il mio articolo”.
L’accademico Dan Berindei, ai tempi del comunismo, ha avuto veramente una torbida prestazione. D’una parte ha resistito per mezzo della cultura, appoggiandosi sui contadini poveri dei secoli scorsi. Ma d’altra parte ha scritto numerose note informative per la Securitate, con lo pseudonimo “Băleanu”, e ha denunciato il suo stesso figlio che viveva in Occidente. Adesso sta riscoprendo e promuovendo, ai fianchi suoi, gli altri due grandi resistenti anticomunisti, Adrian Păunescu (l’artigiano dei fastuosi spettacoli in omaggio del dittatore, sugli stadi di calcio) e Sergiu Nicolaescu (il creatore della mitologia nazionalistica comunista, sui grandi schermi).
Se la “resistenza per la cultura” può raccogliere, sotto lo stesso vasto mantello, i costruttori del culto della personalità di Ceauşescu, i zelanti delatori a favore della Securitate e i pendolari agenti di influenza del regime comunista, questo vuol dire che, tutto sommato, il concetto è diventato ormai così lasso, da ottenere valori di lassativo.
(luglio 2011)