Laszlo Alexandru
COME INSEGNARE L’ITALIANO?
I
nostri appunti sono il risultato dell’esperienza personale di 20 anni trascorsi
in cattedra e in diverse attività che contribuiscono alla qualità dell’insegnamento
(letture di specialità, corsi in questo campo, scambi di opinioni con i colleghi
romeni e stranieri ecc.). Il punto di partenza, nell’estate del 1989, è
costituito dalle circostanze del giovane laureato che, sebbene avesse sul
diploma l’indicazione “Lingua e letteratura italiana”, non aveva frequentato nemmeno
un solo corso o seminario sulla didattica di queste discipline. L’italiano, come
possibilità di studio, stava per essere sospeso alla Facoltà di Filologia (cioè
Lettere) di Cluj-Napoca, in
Gli
elementi che il docente è obbligato a tenere presenti, nell’organizzazione
1.
Livello di competenza dei corsisti. Nel progetto della sua attività, il docente è obbligato a conoscere
chiaramente qual è il livello di partenza dei corsisti e, in seguito
all’insegnamento, quale sarà il livello di destinazione. Per questo aspetto, uno
straordinario aiuto viene offerto dal Quadro comune europeo di riferimento, dove
sono previste, molto concretamente, le capacità di operazione nell’ambito della
lingua straniera, disposte in modo ascendente per sei gradini: A1, A2, B1, B2,
C1, C2. Si deve sottolineare il carattere unitario, valido per la valutazione
di tutte le lingue europee, che questa scheda ha, nonché le sue effettive qualità,
di applicabilità pratica, nel giudizio quotidiano. La scheda di (auto)valutazione
delle competenze linguistiche ricopre in modo consistente le quattro abilità fondamentali, che il professore di
specialità deve sviluppare nei suoi allievi: ascoltare, parlare, leggere e scrivere. (Le abilità fondamentali si possono raggruppare ulteriormente
in altre due coppie: capacità orali –
ascoltare, parlare – e capacità scritte –
leggere e scrivere. Esse si possono raggruppare anche secondo un altro
criterio: capacità ricettive – ascoltare, leggere – e capacità produttive
– parlare, scrivere, vedi Balboni, 1998, p. 12.) Tutta l’evoluzione
2.
Circostanze variabili. Dopo avere stabilito il livello di competenza preliminare dei corsisti, l’insegnante
è obbligato a tener conto, nella sua attività, di una serie di elementi che ne
determinano la progettazione e ne condizionano i risultati.
a) Lingua
materna – lingua straniera. Le
abilità dei corsisti e le loro attese, lungo la lezione, sono completamente diverse
quando seguono un corso sulla loro lingua materna o su una lingua straniera. La
lingua madre viene usata, nel maggior numero di situazioni, in modo istintivo,
riflesso, in base a un’ampia esperienza personale. I parlanti di questa
categoria non hanno, il più spesso delle volte, dubbi sull’adeguatezza dei termini
o delle costruzioni linguistiche, e sono piuttosto messi in difficoltà a
Abbiamo raggiunto questa conclusione anche in seguito
alle cerimonie di gemellaggio tra il Collegio Nazionale “G. Bariţiu” di Cluj-Napoca
e l’Istituto Magistrale Statale “G. Bertacchi” di Lecco, nel 1994.
Le numerose attività collettive di gite, visite nei musei, conferenze ecc. hanno
incluso anche una serie di lezioni di italiano e di inglese, impartite a gruppi
misti, di ragazzi italiani e romeni, successivamente, da docenti romeni e italiani,
a Cluj e a Lecco.
Se, per quello che riguardava l’inglese, non ci sono stati problemi speciali, visto
che si trattava di una lingua straniera per tutti i ragazzi, certe difficoltà si
sono riscontrate durante le ore di italiano, a causa dell’eterogeneità dei corsisti.
Per alcuni, si trattava della loro lingua madre, per gli altri, di una lingua
straniera. Inevitabilmente, le attese, le esigenze e le competenze degli allievi
sono rimaste molto diverse.
b) Numero
di ore. Una particolare
importanza, nella progettazione
c) Effettivo
dei corsisti. Lo svolgimento
delle ore si deve pensare in modi diversi, a seconda
d) Età
dei corsisti. Le strategie si
devono attentamente adattare allo specifico intellettuale delle diverse età. Le
attività linguistiche a carattere ludico-ricreativo devono prevalere, nelle ore
di italiano impartite nella scuola materna o nella scuola elementare, invece esse
si possono usare anche soltanto sporadicamente, come deliberati momenti di “riposo”,
nelle ore di italiano insegnate al liceo bilingue o alla sezione linguistica
dell’università. Qui potranno invece prevalere i metodi logici, concettuali, le
spiegazioni e le dettagliate applicazioni.
e)
Tipologia dei corsisti. Le
lezioni devono essere diversificate secondo le categorie di corsisti. Una situazione
privilegiata esiste quando il docente si trova di fronte agli allievi, un pubblico
“prigioniero”, che frequenta la scuola dell’obbligo, o davanti agli studenti, che
sono spinti dalla motivazione della propria formazione personale per la carriera.
Invece, gli sforzi dell’insegnante per la motivazione e l’attivazione dei corsisti
saranno più consistenti, quando starà davanti ad altre categorie, come sono gli
adulti dopo le ore di servizio, i disoccupati ecc. In queste circostanze, il “contenuto
scientifico” delle lezioni sarà, per forza, più diluito, accompagnato da numerose
strategie di ricreazione.
f) Omogeneità
linguistica dei corsisti. La
circostanza ideale è rappresentata dai gruppi di allievi che hanno la stessa lingua
materna e che, insieme, studiano la stessa lingua straniera. Davanti a loro, il
docente può usare le spiegazioni per analogia, avanzando da fenomeni linguistici
a tutti familiari, verso le differenze nella lingua d’arrivo. Questa facilità diminuisce,
quando uno o diversi corsisti appartengono ad altre comunità linguistiche.
Per esempio, ci siamo confrontati con la situazione
di
L’insegnamento “bilingue” invece è impossibile davanti
ai gruppi eterogenei, dove i corsisti provengono dalle più diverse zone linguistiche
(la situazione dei corsi speciali di lingua italiana per gli stranieri, che si
organizzano alle università di
g) Risorse
tecniche. La lezione di
italiano dipende direttamente dalle dotazioni, dalle capacità e dalle competenze
tecniche dell’insegnante. Le possibilità si aprono tra gli strumenti di tipo
classico (lavagna, gesso, quaderni), moderno (audio-video: radio, videoregistratore,
televisione) e postmoderno (computer, DVD, proiettore, internet, siti di
specialità, blog ecc.). L’ultima generazione della tecnica didattica offre ugualmente
ampie possibilità di interazione tra i corsisti.
In questo contesto si deve sottolineare l’importanza
delle liste di conversazione in internet, a finalità pedagogica, istituite tra gli
insegnanti di italiano come lingua straniera. (A un tale strumento di comunicazione
professionale, esteso a livello mondiale, che funziona sotto la coordinazione del
personale dell’Università per Stranieri di Perugia, Italia, partecipiamo anche
noi sporadicamente con interventi e spiegazioni, da 10 anni circa).
h) Contesto
didattico. Una particolare importanza
psicologica per l’insegnamento dell’italiano in Romania è data dall’esistenza di
uno spazio adatto, in una sala specifica o un laboratorio che, per mezzo dei
disegni, delle illustrazioni, dei quadri, dei libri o delle canzoni collegate alla
cultura della Penisola, possa creare tra i corsisti un clima di familiarità e
possa eliminare le loro eventuali inibizioni, dovute al contatto con una realtà
lontana. L’importanza di questo aspetto di conforto psicologico è stata sperimentata
da noi, nel contesto di un corso d’italiano impartito a infermiere che volevano
andare in Italia per scopi di lavoro. La mancanza di uno spazio di insegnamento
adatto, la stanchezza fisica dei corsisti, dopo le solite ore di lavoro, la
loro debole motivazione e lo scoraggiamento – dovuto all’informazione che soltanto
i migliori tra loro sarebbero stati scelti – hanno determinato risultati
modesti (livello A1 circa). Invece, questa preliminare preparazione in
3.
Metodi dell’insegnamento. Un
osservatore ingenuo si potrebbe domandare perché mai tante controversie sui metodi
dell’insegnamento di una lingua straniera? Perché non viene stabilita, una
a)
Metodo deduttivo. Presuppone l’insegnamento
preferenziale della grammatica, come un insieme chiaramente definito, con la
messa in luce delle diverse assomiglianze e differenze, all’interno
Questo metodo di insegnamento, nelle situazioni
di omogeneità linguistica dei corsisti, consente l’uso degli esempi contrastivi,
con partenza dalla lingua materna verso la lingua di destinazione. Per esempio,
gli allievi romeni capiranno facilmente che, a differenza
È importante che, nell’ipotesi della scelta
Il metodo deduttivo, oltre a un insieme di conoscenze
(potremmo paragonare questa strategia all’osservazione di una città dall’alto,
da una collina, con la successiva identificazione delle zone d’interesse, dei punti
importanti, dei quartieri), trasmette ai corsisti un fondamentale sentimento di
fiducia. Loro, ormai in padronanza
delle regole e dei paradigmi, potranno in seguito facilmente metterli in
pratica e avranno ugualmente a disposizione delle capacità di autovalutazione, per
quanto riguarda la correttezza dell’enunciato in lingua straniera. Notiamo che,
nell’ambito dello studio dell’italiano come lingua straniera, lo strumento didattico
più eloquente per questo metodo di insegnamento è il corso elaborato dai professori
Roncari e Brighenti (vedi Bibliografia).
Si devono ricordare, nel contesto, anche le legittime
critiche fatte al metodo deduttivo (Katerinov, 1989 ecc.). Un problema è dovuto
al fatto che manca una grammatica esauriente della lingua italiana, e i fenomeni
linguistici sono sempre disputati tra gli specialisti – per esempio, secondo Hall
ci sono 7 congiunzioni in italiano, secondo Fornaciari 52, secondo Rohlfs 56, secondo
Cîrstea 28 (Katerinov, 1989). In queste circostanze, si dovrà tracciare una chiara
distinzione tra il grammatico e il didatta. Il primo vuole dire tutto, nel modo
più preciso e sfumato, invece il secondo è costretto a omettere il maggior
numero di particolari privi di importanza, a restringere all’essenziale e a rendere
funzionale la grammatica, allo scopo dell’uso della lingua. L’approccio didattico,
di insegnamento dell’italiano è stato, tra l’altro, alla base della nostra pubblicazione
precedente (Laszlo, 2007).
Un altro problema che richiede l’opzione
b) Metodo
induttivo. La grammatica ha
soltanto un ruolo secondario, nella lezione organizzata in base a questa
strategia. Il punto di partenza è rappresentato, di solito, da un testo breve, concentrato
su una certa situazione di comunicazione quotidiana (“Le spese”, “Una telefonata”,
“In gita” ecc.). L’allievo arriva a conoscere, così, certi campi lessicali e
semantici, attraverso il loro uso immediato – ascolto, ripetizione, lettura,
scrittura. Egli diventa cosciente di certi fenomeni grammaticali isolando la
parola nel testo, sottolineandola, mettendola in evidenza con un altro colore ecc.
L’ulteriore riflessione grammaticale spinge l’allievo a ricomporre da solo, in
base ai termini incontrati nel testo, il paradigma del fenomeno grammaticale (per
esempio, dopo l’identificazione dei sostantivi maschili, alcuni al singolare, gli
altri al plurale, si può chiedere al corsista di trovare da solo le varianti
alternative – i sostantivi al singolare si dovranno volgere al plurale e viceversa
–, e di concludere per conto proprio, per induzione, sulla regola di modifica
formale del nome, a seconda del numero).
Questo metodo consente l’inclusione di diversi
aspetti di studio, in una sola unità didattica: le funzioni comunicative, il lessico,
la grammatica, la pronuncia e l’ortografia, la cultura e la civiltà italiana ecc.
È gradito dalla maggior parte degli attuali corsi di italiano per gli stranieri
(Bozzone Costa, 2004; Bozzone Costa-Ghezzi-Piantoni, 2005; Chiuchiù-Minciarelli-Silvestrini,
2004; Katerinov, 1976; Katerinov-Boriosi Katerinov, 1985; Ziglio-Rizzo, 2001; Balì,
2002; Ziglio, 2003 etc.).
I vantaggi
Gli eventuali svantaggi
Il metodo induttivo, in quanto non prende in
considerazione – se non in modo sporadico – la variante dell’insegnamento
bilingue e i parallelismi con la lingua materna, è soprattutto indicato per i
gruppi di corsisti eterogenei dal punto di vista linguistico (di diverse nazionalità),
che tendono al livello medio delle competenze (visto che eccellenti risultati non
si possono raggiungere senza la padronanza cosciente dei fenomeni grammaticali),
e che eventualmente si ritrovano nella stessa zona di finalità professionale. Abbiamo
avuto anche noi l’occasione di sperimentarlo in parte, nel contesto dei corsi organizzati
per le infermiere che studiavano la lingua straniera, in vista
L’esigenza che il docente possa scegliere liberamente
il metodo e le tecniche adatte, secondo le circostanze variabili, ci è stata
confermata anche in un’altra situazione. Per l’insegnamento intensivo dell’italiano
a un gruppo di giovani informatici-programmisti, assunti a Cluj-Napoca da una ditta
italiana che voleva assicurarsi, progressivamente, la comunicazione diretta con
loro, ci siamo ritrovati nella situazione di impartire le lezioni all’interno
di un laboratorio informatico, privo della tradizionale lavagna o dello schermo
di proiezione, che permettesse la convergenza dell’attenzione di tutti i corsisti.
In queste circostanze, abbiamo scelto di costituire una rete interna di
comunicazione, per mezzo dei computer. Dopo la breve presentazione della lezione
(secondo il metodo deduttivo), l’insegnante inviava l’esercizio ai corsisti. Su
ogni computer, l’esercizio veniva risolto individualmente, e poi era rimandato al
computer principale,
c)
Metodo funzionale. Si basa
specialmente sulle critiche degli specialisti americani, per quanto riguarda
l’insegnamento della grammatica durante le ore di lingue straniere. Secondo l’edizione
del 1950 della Encyclopedia of
Educational Research, “non vi è alcuna relazione significativa fra grammatica
e composizione, fra grammatica e interpretazione letteraria”; “la grammatica non
serve a disciplinare la mente”; “i dati sperimentali hanno rilevato una
scoraggiante mancanza di nesso fra la conoscenza grammaticale e la migliore
utilizzazione delle capacità espressive”; “l’affermazione che la conoscenza grammaticale
sia utile per apprendere le lingue straniere non è accreditata dall’evidenza dei
fatti sperimentali”; “la pratica non conferma la teoria che la grammatica
contribuisca al miglioramento delle capacità di lettura” (Katerinov, 1989). In
base a questi principi, si può progettare un metodo funzionale di insegnamento dell’italiano,
che faccia a meno dello studio della grammatica (ritenuta troppo “pesante”). L’essenza
di tale metodo consiste nell’apprendimento delle basilari situazioni
comunicative, presentate dall’insegnante e ripetute con insistenza, a voce alta,
individualmente e in
Il metodo funzionale può dimostrarsi utile in alcune
specifiche situazioni, come per esempio quelle di gruppi turistici che frequentano
i corsi di lingue straniere a scopi “mondani”, di hobby, quando si propongono, durante
la visita in un Paese, di acquisire anche nozioni elementari sulla lingua
locale. Si può usare, ugualmente, in alcune circostanze speciali (comunicate
sulla ricordata lista di conversazione degli insegnanti di italiano, gestita dall’Università
di Perugia): lezioni di italiano impartite ad immigranti adulti, completamente
analfabeti, venuti dall’Africa. In simili circostanze, è ovvio che l’appello alla
grammatica potrebbe determinare il fallimento dei corsi, ma è altrettanto
chiaro che il metodo funzionale permette soltanto l’apprendimento elementare della
lingua italiana (livello A1).
Riteniamo illustrativa la seguente situazione che
abbiamo riscontrato. Mentre partecipavamo ai corsi di aggiornamento dell’Università
per Stranieri di Perugia, siamo stati invitati dal professor Angelo Chiuchiù nella
vicina Assisi, a visitare la sua scuola privata di lingua italiana. Dopo alcuni
giorni, andando nella città di San Francesco, abbiamo cominciato a cercare
quell’istituzione. Con il passar del
tempo, non trovando l’indirizzo, abbiamo deciso di rivolgerci a un passante.
Per caso, si trattava di un giovane monaco, a cui abbiamo fatto la semplicissima
domanda: “Per favore, dov’è l’Accademia di Lingua Italiana di Assisi?”. Questo
ci ha risposto, con un forte acccento inglese: “Io sono studente dell’Accademia
di Lingua Italiana di Assisi”. “Perfetto, allora potrebbe dirci dove si trova
l’Accademia di Lingua Italiana di Assisi?”. Il passante ha fatto una faccia spaventata,
come prova che non capiva le nostre parole. Messo in difficoltà, ha ripetuto: “Io
sono studente dell’Accademia di Lingua Italiana di Assisi”. Dopo altre domande,
che trovavano invariabilmente la stessa risposta, come nel teatro dell’assurdo,
abbiamo alzato per caso lo sguardo e abbiamo scoperto, sopra le nostre teste, l’iscrizione
che indicava l’ingresso all’istituzione cercata. Abbiamo avuto in seguito
l’occasione di assistere, grazie al cortese invito, a una lezione di italiano
per gli stranieri, tenuta da un insegnante giovane e molto dinamico. Abbiamo notato
che il metodo funzionale, impiegato in quella occasione, concedeva ai corsisti,
in gran parte dei turisti, di memorizzare sintagmi frequenti, d’uso ricorrente,
ma senza offrire loro un’apertura ai paradigmi della lingua italiana. Allora ci
siamo spiegati perché il monaco incontrato prima era in grado di dirci che era studente
di quella scuola, ma non dove si trovasse essa o come la si potesse raggiungere.
Per quello che riguarda i tre metodi diversi di
insegnamento dell’italiano, vorremmo sottolineare che, nella nostra opinione, essi
non sono collegati a certi momenti dello sviluppo
Qui sentiamo anche il dovere di esprimere la
nostra critica aperta, contro alcune situazioni riscontrate in Italia, dove certi
dirigenti scolastici si prendevano la libertà di imporre agli insegnanti subordinati
il metodo di insegnamento che dovevano usare, e quindi offendevano la loro
competenza professionale e la loro dignità personale.
4.
Evoluzione modulare dell’insegnamento. Un aspetto importante, a cui i giovani docenti devono abituarsi, è dato
dal fatto che l’insegnamento non segue una evoluzione lineare. La materia deve
essere segmentata in unità didattiche (le quali, spesse volte, come accenavamo
sopra, possono essere interdisciplinari), con dei particolari momenti: a) insegnamento; b) rinforzo; c) verifica;
d) ripasso. Solo dopo aver superato tutti
e quattro i momenti dell’unità didattica, si avanza alla successiva unità didattica.
Secondo la complessità dell’unità didattica, si
può assegnare un numero diverso di ore per il suo insieme, o per una sua determinata
parte. Certo che, nella situazione di un’unità didattica di facile
apprendimento, le quattro tappe si possono concentrare in una sola lezione. Ma,
di solito, la lezione rappresenta soltanto un insieme minimo di apprendimento, incluso
nell’unità didattica.
5.
Tecniche didattiche. Dopo avere
stabilito il livello di competenze a cui deve puntare, le circostanze variabili
e il metodo da usare, secondo il tipo di lezione impartita all’interno dell’unità
didattica, l’insegnante deve scegliere le tecniche didattiche. Si tratta dell’insieme
di strumenti usati per l’apprendimento della lingua italiana. Esse sono ampiamente
descritte nella letteratura specialistica (vedi, per esempio, Balboni, 1998, p.
131-192). Non ci proponiamo qui di ripensarle o di rivoluzionarle, ma soltanto
di farne una breve sintesi.
Ecco, secondo gli specialisti, l’ampia varietà
di interventi pratici che, in base alla situazione concreta, si trovano a
disposizione dell’insegnante: l’accoppiamento
lingua-immagine (l’allievo deve fare un giusto legame tra gli elementi di
una serie d’immagini e quelli di una serie di brevi testi descrittivi); l’accoppiamento parola-definizione (l’allievo
deve fare un giusto legame tra gli elementi di una serie di parole e quelli di
una serie di definizioni); l’ascolto selettivo
(l’allievo deve riconoscere certi elementi, o il maggior numero di elementi di un
messaggio fonico in lingua straniera); la
canzone come finalità didattica (l’allievo deve identificare il maggior
numero di elementi, nel testo di una melodia famosa); la procedura cloze (l’allievo deve ricostituire le parole che
mancano in un testo); gli esercizi di
completamento (l’allievo deve ricostituire, per esempio, le battute che mancano
in un dialogo); la composizione scritta
(la redazione di un testo a tema stabilito); le “costellazioni” (stabilire le famiglie lessicali, per catene successive);
i cruciverba; il dettato; il dialogo aperto
(tra docente e allievo, tra gli stessi allievi, tra gruppi di allievi); il dialogo a catena (l’allievo A chiede “Come
ti chiami?”, l’allievo B risponde e rivolge la successiva domanda all’allievo C);
la domanda diretta (fatta dal docente
a un certo allievo); la domanda frontale
(fatta dal docente all’intera classe); la
drammatizzazione (la messa in scena di un testo del manuale); l’esclusione (l’allievo deve eliminare,
da un gruppo di parole, l’elemento irrilevante); l’esplicitazione di alcuni termini (l’allievo deve riconoscere e
deve sottolineare, in un testo, certe componenti: soltanto i nomi propri, soltanto
i pronomi personali ecc.); l’incastro di
parole nelle frasi (l’allievo deve rifare l’ordine logico della frase, ridisponendo
la successione delle parole); l’incastro
di paragrafi (l’allievo deve rifare l’ordine logico dei paragrafi, secondo l’evoluzione
epica di un testo); l’incastro di testi
(l’allievo deve stabilire l’ordine logico di alcuni testi in apparenza indipendenti:
una lettera personale, un articolo di legge, un verbale di contravvenzione, l’attestato
di avvenuto pagamento etc.); l’individuazione
degli errori (l’allievo deve identificare ed eliminare gli sbagli
ortografici / lessicali / grammaticali / logici di un testo); gli esercizi di sostituzione (l’allievo deve
eseguire un numero di modifiche in un testo: mettere i nomi al plurale, volgere
i verbi all’imperfetto ecc.); la memorizzazione
di una poesia; il monologo (nella
presentazione di una relazione, all’esame ecc.); la parafrasi (la trasposizione di un testo, da versi in prosa, o
l’esplicitazione per mezzo di sinonimi); la
perifrasi (l’esplicitazione di una parola, riassumendo i suoi significati nella
lingua di destinazione); il riassunto
verbale o scritto (l’allievo deve comprimere un messaggio sentito o letto, in
ordine cronologico o causale degli accaduti, con un numero fisso di parole stabilite,
che si può diminuire successivamente: 200, poi 150, 100, o 50 parole, per testare
anche le sue capacità logiche); la ricopiatura
di un testo; il roleplay (gli allievi
si traspongono in una situazione immaginaria e creano dei dialoghi tra diversi
personaggi); gli esercizi a scelta
multipla (l’allievo deve trovare la risposta giusta, di solito tra le tre possibili
varianti); la stesura di appunti
(stabilire un sistema di abbreviazioni e di compressione dell’informazione ricevuta);
la finta conversazione telefonica; la traduzione scritta; la traduzione simultanea (orale); la transcodificazione (il “racconto” verbale
di un disegno, di un film); la trasformazione
di genere (trasporre una conversazione telefonica in una lettera, di un
telegramma in una SMS); la trasformazione
di modalità (volgere un testo dal discorso diretto in discorso indiretto o
viceversa) ecc.
Conclusioni. In base alle situazioni sopra descritte,
probabilmente si capisce perché, nel campo dell’istruzione, c’è una permanente ricerca
ed esplorazione dei migliori metodi di insegnamento-apprendimento. Così si spiega
anche il fatto che non ci sia un unico metodo, perfetto, usato da tutti, dagli
inizi e fino a oggi. Assistiamo, in realtà, a una permanente modifica dei
diversi elementi coinvolti nella lezione: i corsisti, le loro finalità, le circostanze
tecniche e curricolari a disposizione dell’insegnante ecc. Tra tutti questi, egli
deve scegliere il miglior metodo per raggiungere le sue finalità di
apprendimento. Non basta che un buon insegnante sia in padronanza di un insieme
di informazioni sulla lingua italiana, sulla letteratura italiana, sulla pedagogia,
sulla psicologia della scuola e sulla metodica dell’insegnamento. Disposta al
crocevia di queste cinque discipline, la sua attività deve riflettere l’abilità
intellettuale di adeguamento al curriculum, con la scelta
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(Relazione presentata alla Conferenza Internazionale
“Real & Virtual in Learner’s Development”,
Cluj, 2010)