Laszlo Alexandru

 

COME INSEGNARE L’ITALIANO?



            I nostri appunti sono il risultato dell’esperienza personale di 20 anni trascorsi in cattedra e in diverse attività che contribuiscono alla qualità dell’insegnamento (letture di specialità, corsi in questo campo, scambi di opinioni con i colleghi romeni e stranieri ecc.). Il punto di partenza, nell’estate del 1989, è costituito dalle circostanze del giovane laureato che, sebbene avesse sul diploma l’indicazione “Lingua e letteratura italiana”, non aveva frequentato nemmeno un solo corso o seminario sulla didattica di queste discipline. L’italiano, come possibilità di studio, stava per essere sospeso alla Facoltà di Filologia (cioè Lettere) di Cluj-Napoca, in Romania, ed era assolutamente assente nel sistema di pubblica istruzione della provincia. Del resto, la possibilità dell’insegnamento di questa lingua straniera si è verificata, nel contesto della nostra attività professionale, soltanto dopo i cambiamenti sociali e politici del dicembre 1989. Le nostre preoccupazioni hanno trovato lo sbocco nella sezione bilingue, romeno-italiana, del Collegio Nazionale “George Bariţiu” di Cluj-Napoca, dal 1992. Con questa nuova opportunità, ci siamo imposti l’esigenza della riflessione sulle modalità adatte per l’attività d’insegnamento. Lo studio individuale, la meditazione, i successivi corsi di specializzazione e i gentili suggerimenti dei colleghi ci hanno aiutato a tracciare il sistema delle seguenti spiegazioni.

            Gli elementi che il docente è obbligato a tenere presenti, nell’organizzazione del suo corso, devono essere molto precisi.


1. Livello di competenza dei corsisti. Nel progetto della sua attività, il docente è obbligato a conoscere chiaramente qual è il livello di partenza dei corsisti e, in seguito all’insegnamento, quale sarà il livello di destinazione. Per questo aspetto, uno straordinario aiuto viene offerto dal Quadro comune europeo di riferimento, dove sono previste, molto concretamente, le capacità di operazione nell’ambito della lingua straniera, disposte in modo ascendente per sei gradini: A1, A2, B1, B2, C1, C2. Si deve sottolineare il carattere unitario, valido per la valutazione di tutte le lingue europee, che questa scheda ha, nonché le sue effettive qualità, di applicabilità pratica, nel giudizio quotidiano. La scheda di (auto)valutazione delle competenze linguistiche ricopre in modo consistente le quattro  abilità fondamentali, che il professore di specialità deve sviluppare nei suoi allievi: ascoltare, parlare, leggere e scrivere. (Le abilità fondamentali si possono raggruppare ulteriormente in altre due coppie: capacità oraliascoltare, parlare – e capacità scritte leggere e scrivere. Esse si possono raggruppare anche secondo un altro criterio: capacità ricettiveascoltare, leggere – e capacità produttiveparlare, scrivere, vedi Balboni, 1998, p. 12.) Tutta l’evoluzione del processo di apprendimento dipende direttamente dal punto di partenza dei corsisti e dal loro punto di destinazione, che il docente prevede. Per questo, nelle lezioni di lingue straniere si ricorre di solito – in seguito all’applicazione di test iniziali – alla formazione di tre gruppi diversi, di livello principiante, medio o avanzato. È un’altra modalità per mettere in pratica la sistemazione proposta dalla scheda del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue.


2. Circostanze variabili. Dopo avere stabilito il livello di competenza preliminare dei corsisti, l’insegnante è obbligato a tener conto, nella sua attività, di una serie di elementi che ne determinano la progettazione e ne condizionano i risultati.

a) Lingua materna – lingua straniera. Le abilità dei corsisti e le loro attese, lungo la lezione, sono completamente diverse quando seguono un corso sulla loro lingua materna o su una lingua straniera. La lingua madre viene usata, nel maggior numero di situazioni, in modo istintivo, riflesso, in base a un’ampia esperienza personale. I parlanti di questa categoria non hanno, il più spesso delle volte, dubbi sull’adeguatezza dei termini o delle costruzioni linguistiche, e sono piuttosto messi in difficoltà a dover spiegare le loro motivazioni davanti a uno straniero. Invece, coloro che studiano una lingua straniera si confrontano sempre con l’incertezza di un territorio sconosciuto, sono più o meno privi dell’esperienza linguistica, in questo campo, e cercano di consolidare le loro esitazioni identificando un insieme di precise regole e spiegazioni, su cui contare. Quindi, una lezione di lingua italiana, insegnata davanti ai giovani italiani o davanti ai giovani romeni, dovrà essere, nei suoi contenuti, assolutamente diversa.

Abbiamo raggiunto questa conclusione anche in seguito alle cerimonie di gemellaggio tra il Collegio Nazionale “G. Bariţiu” di Cluj-Napoca e l’Istituto Magistrale Statale “G. Bertacchi” di Lecco, nel 1994. Le numerose attività collettive di gite, visite nei musei, conferenze ecc. hanno incluso anche una serie di lezioni di italiano e di inglese, impartite a gruppi misti, di ragazzi italiani e romeni, successivamente, da docenti romeni e italiani, a Cluj e a Lecco. Se, per quello che riguardava l’inglese, non ci sono stati problemi speciali, visto che si trattava di una lingua straniera per tutti i ragazzi, certe difficoltà si sono riscontrate durante le ore di italiano, a causa dell’eterogeneità dei corsisti. Per alcuni, si trattava della loro lingua madre, per gli altri, di una lingua straniera. Inevitabilmente, le attese, le esigenze e le competenze degli allievi sono rimaste molto diverse.

b) Numero di ore. Una particolare importanza, nella progettazione del percorso di studio, hanno la frequenza e il peso delle ore di italiano, nel programma generale di studio. In questo campo, si può avere un’ampia variazione, da un numero di quattro-cinque ore al giorno, destinate alla stessa disciplina (nei corsi speciali, propedeutici), con la variante di sei-sette ore alla settimana, accompagnate da altre materie insegnate in questa lingua straniera (nelle sezioni bilingui dei licei romeni di oggi) e fino a una-due ore alla settimana (nei corsi di più ristretta portata).

c) Effettivo dei corsisti. Lo svolgimento delle ore si deve pensare in modi diversi, a seconda del numero grande di allievi (30-40 – con ristrette possibilità di interazione, quando si mette l’accento sull’insegnamento frontale), il numero adatto di allievi (10-15 – quello che consente un’ampia varietà di tecniche didattiche) o il numero basso di allievi (1-2, fino a 10).

d) Età dei corsisti. Le strategie si devono attentamente adattare allo specifico intellettuale delle diverse età. Le attività linguistiche a carattere ludico-ricreativo devono prevalere, nelle ore di italiano impartite nella scuola materna o nella scuola elementare, invece esse si possono usare anche soltanto sporadicamente, come deliberati momenti di “riposo”, nelle ore di italiano insegnate al liceo bilingue o alla sezione linguistica dell’università. Qui potranno invece prevalere i metodi logici, concettuali, le spiegazioni e le dettagliate applicazioni.

e) Tipologia dei corsisti. Le lezioni devono essere diversificate secondo le categorie di corsisti. Una situazione privilegiata esiste quando il docente si trova di fronte agli allievi, un pubblico “prigioniero”, che frequenta la scuola dell’obbligo, o davanti agli studenti, che sono spinti dalla motivazione della propria formazione personale per la carriera. Invece, gli sforzi dell’insegnante per la motivazione e l’attivazione dei corsisti saranno più consistenti, quando starà davanti ad altre categorie, come sono gli adulti dopo le ore di servizio, i disoccupati ecc. In queste circostanze, il “contenuto scientifico” delle lezioni sarà, per forza, più diluito, accompagnato da numerose strategie di ricreazione.

f) Omogeneità linguistica dei corsisti. La circostanza ideale è rappresentata dai gruppi di allievi che hanno la stessa lingua materna e che, insieme, studiano la stessa lingua straniera. Davanti a loro, il docente può usare le spiegazioni per analogia, avanzando da fenomeni linguistici a tutti familiari, verso le differenze nella lingua d’arrivo. Questa facilità diminuisce, quando uno o diversi corsisti appartengono ad altre comunità linguistiche.

Per esempio, ci siamo confrontati con la situazione di dover insegnare davanti a un gruppo liceale di principianti romeni, in cui si trovava anche un’allieva di origine messicana. Jedibe Ladron aveva abitato e aveva studiato per alcuni anni in Italia, e conosceva l’italiano a livello pratico di interazione (livello A2 circa), senza conoscere invece per niente il romeno. Dopo una breve esitazione metodologica, abbiamo continuato l’insegnamento contrastivo dell’italiano all’intero gruppo, facendo frequenti analogie con il romeno. In seguito a due anni di insegnamento bilingue-intensivo (6 ore alla settimana, 108 ore a semestre, per quattro semestri), gli allievi romeni sono pervenuti a usare bene l’italiano (livello A2 circa), mentre la giovane messicana è arrivata sia a conoscere in modo complessivo, scientifico, la lingua italiana (livello B2 circa), quanto a usare un romeno scritto e parlato molto sciolto (livello A2 circa).

L’insegnamento “bilingue” invece è impossibile davanti ai gruppi eterogenei, dove i corsisti provengono dalle più diverse zone linguistiche (la situazione dei corsi speciali di lingua italiana per gli stranieri, che si organizzano alle università di Perugia, Siena, Venezia ecc.). Evidentemente, in queste circostanze, il docente può servirsi dei vantaggi soltanto della lingua di destinazione, che rappresenta la meta delle diverse categorie di parlanti.

g) Risorse tecniche. La lezione di italiano dipende direttamente dalle dotazioni, dalle capacità e dalle competenze tecniche dell’insegnante. Le possibilità si aprono tra gli strumenti di tipo classico (lavagna, gesso, quaderni), moderno (audio-video: radio, videoregistratore, televisione) e postmoderno (computer, DVD, proiettore, internet, siti di specialità, blog ecc.). L’ultima generazione della tecnica didattica offre ugualmente ampie possibilità di interazione tra i corsisti.

In questo contesto si deve sottolineare l’importanza delle liste di conversazione in internet, a finalità pedagogica, istituite tra gli insegnanti di italiano come lingua straniera. (A un tale strumento di comunicazione professionale, esteso a livello mondiale, che funziona sotto la coordinazione del personale dell’Università per Stranieri di Perugia, Italia, partecipiamo anche noi sporadicamente con interventi e spiegazioni, da 10 anni circa).

h) Contesto didattico. Una particolare importanza psicologica per l’insegnamento dell’italiano in Romania è data dall’esistenza di uno spazio adatto, in una sala specifica o un laboratorio che, per mezzo dei disegni, delle illustrazioni, dei quadri, dei libri o delle canzoni collegate alla cultura della Penisola, possa creare tra i corsisti un clima di familiarità e possa eliminare le loro eventuali inibizioni, dovute al contatto con una realtà lontana. L’importanza di questo aspetto di conforto psicologico è stata sperimentata da noi, nel contesto di un corso d’italiano impartito a infermiere che volevano andare in Italia per scopi di lavoro. La mancanza di uno spazio di insegnamento adatto, la stanchezza fisica dei corsisti, dopo le solite ore di lavoro, la loro debole motivazione e lo scoraggiamento – dovuto all’informazione che soltanto i migliori tra loro sarebbero stati scelti – hanno determinato risultati modesti (livello A1 circa). Invece, questa preliminare preparazione in Romania è stata seguita da uno stage di due mesi, in un ospedale in Italia. Il “tuffo” nell’ambiente linguistico straniero, con il personale medico-infermieristico e i pazienti che gli si rivolgevano, ovviamente, solo in italiano, con il programma libero, la televisione, gli abitanti del paese, le dovute spese ecc., che si svolgevano ugualmente solo in italiano, hanno prodotto una modifica nella gerarchia linguistica degli stagisti, e quindi i nuovi corsi, tenuti sul posto, hanno avuto successo.


3. Metodi dell’insegnamento. Un osservatore ingenuo si potrebbe domandare perché mai tante controversie sui metodi dell’insegnamento di una lingua straniera? Perché non viene stabilita, una volta per sempre, la migliore modalità in questo campo di attività, che sia poi messa in pratica da tutti? In realtà, le diverse opzioni riflettono non solo gli approcci scientifici diversi, per quanto riguarda la problematica, ma anche l’esistenza di numerose circostanze variabili, da un caso all’altro, che impongono sempre nuovi tentativi, esperimenti, ipotesi di lavoro. Un lungo dibattito si riferisce all’importanza centrale o collaterale concessa alla grammatica, nell’ambito dei corsi. In questo senso, si possono individuare tre metodi diversi di insegnamento dell’italiano.

a) Metodo deduttivo. Presuppone l’insegnamento preferenziale della grammatica, come un insieme chiaramente definito, con la messa in luce delle diverse assomiglianze e differenze, all’interno del sistema. Permette l’evoluzione logica e concatenata del conoscere. Per esempio, dopo che il corsista ha imparato le forme dell’indicativo imperfetto, può facilmente capire il trapassato prossimo (composto dal verbo ausiliare all’imperfetto + il participio passato del verbo da coniugare: ero, eri, era... → ero stato, eri stato, era stato...; avevo, avevi, aveva... → avevo avuto, avevi avuto, aveva avuto...). Oppure, dopo lo studio dell’indicativo futuro semplice, gli viene più semplice capire il condizionale presente (formato dalla radice del futuro, che riceve le specifiche terminazioni: sarò, sarai, sarà... → sarei, saresti, sarebbe...; avrò, avrai, avrà... → avrei, avresti, avrebbe...). Si avanza dai fatti semplici a quelli complessi (per esempio, dopo l’insegnamento delle preposizioni e degli articoli determinativi, si può passare alla spiegazione delle preposizioni articolate: a + il → al; in + la → nella; da + lo → dallo).

Questo metodo di insegnamento, nelle situazioni di omogeneità linguistica dei corsisti, consente l’uso degli esempi contrastivi, con partenza dalla lingua materna verso la lingua di destinazione. Per esempio, gli allievi romeni capiranno facilmente che, a differenza del romeno, dove ci sono tre generi – maschile, femminile, neutro –, in italiano ce ne sono soltanto due – maschile e femminile. Potranno ricordarsi che, mentre la grammatica romena tradizionale elenca quattro coniugazioni – a cînta, a vedea, a crede, a fugi –, quella dell’italiano ne ha soltanto tre – cantare, credere, fuggire. Dopo aver diffuso consapevolezza delle realtà grammaticali italiane, l’insegnante può introdurre le strategie e gli esercizi di rinforzo, e poi quelli di verifica e di ripasso.

È importante che, nell’ipotesi della scelta del metodo deduttivo, il docente rimanga cosciente che lo scopo principale dei corsisti è non quello della conoscenza teorica esauriente delle nuove strutture linguistiche, ma il loro uso pratico. Nelle parole di B. Shaw, “quando vado al ristorante non pretendo che le mie parole diventino parte di un sistema, ma semplicemente che mi portino da mangiare” (Katerinov, 1989). L’insegnamento strutturale della grammatica non si deve trasformare, quindi, in uno scopo a sé stante – quello che porterebbe, tra l’altro, a lezioni un po’ aride –, ma deve costituire una strategia per familiarizzare i corsisti ai paradigmi della lingua italiana. Per esempio, con l’insieme delle sei persone della coniugazione verbale davanti agli occhi, i corsisti non avranno difficoltà con l’uso inadatto delle persone, durante la comunicazione.

Il metodo deduttivo, oltre a un insieme di conoscenze (potremmo paragonare questa strategia all’osservazione di una città dall’alto, da una collina, con la successiva identificazione delle zone d’interesse, dei punti importanti, dei quartieri), trasmette ai corsisti un fondamentale sentimento di fiducia. Loro, ormai in padronanza delle regole e dei paradigmi, potranno in seguito facilmente metterli in pratica e avranno ugualmente a disposizione delle capacità di autovalutazione, per quanto riguarda la correttezza dell’enunciato in lingua straniera. Notiamo che, nell’ambito dello studio dell’italiano come lingua straniera, lo strumento didattico più eloquente per questo metodo di insegnamento è il corso elaborato dai professori Roncari e Brighenti (vedi Bibliografia).

Si devono ricordare, nel contesto, anche le legittime critiche fatte al metodo deduttivo (Katerinov, 1989 ecc.). Un problema è dovuto al fatto che manca una grammatica esauriente della lingua italiana, e i fenomeni linguistici sono sempre disputati tra gli specialisti – per esempio, secondo Hall ci sono 7 congiunzioni in italiano, secondo Fornaciari 52, secondo Rohlfs 56, secondo Cîrstea 28 (Katerinov, 1989). In queste circostanze, si dovrà tracciare una chiara distinzione tra il grammatico e il didatta. Il primo vuole dire tutto, nel modo più preciso e sfumato, invece il secondo è costretto a omettere il maggior numero di particolari privi di importanza, a restringere all’essenziale e a rendere funzionale la grammatica, allo scopo dell’uso della lingua. L’approccio didattico, di insegnamento dell’italiano è stato, tra l’altro, alla base della nostra pubblicazione precedente (Laszlo, 2007).

Un altro problema che richiede l’opzione del docente si ritrova nella domanda: quale italiano dobbiamo insegnare ai corsisti? Infatti, ci sono differenze molto precise di grammatica, tra l’italiano quotidiano, funzionale, e l’italiano accademico, della storia letteraria (Katerinov, 1989). Per esempio, il pronome personale di terza persona singolare maschile, nella prima variante è lui, nella seconda – egli (El vine în vizită. = Lui viene in visita. / Egli viene in visita.). Il pronome personale in dativo, forma atona, alla terza persona del plurale, viene tradotto con gli, rispettivamente loro, e impone un cambiamento di posizione nella frase, prima o dopo il verbo (Le-am spus părerea mea. = Gli ho detto il mio parere. / Ho detto loro il mio parere.). Quale variante insegnare ai corsisti? L’opzione del professor Katerin Katerinov è a favore della lingua informale, quotidiana. Secondo la nostra opinione, durante l’insegnamento di tipo deduttivo, il docente deve adeguarsi alle circostanze variabili esistenti e deve tener conto delle finalità dei corsisti. Quindi, gli allievi della sezione bilingue, romeno-italiana, del liceo di specialità dovranno conoscere sia il livello funzionale, per la comunicazione quotidiana, che il registro accademico, per lo studio dei classici della letteratura. L’insegnante è obbligato a trasmettere, in modo esplicito, ai suoi allievi le differenze di registro linguistico, per aiutarli nelle loro scelte, a seconda del contesto di comunicazione in cui si ritroveranno.

b) Metodo induttivo. La grammatica ha soltanto un ruolo secondario, nella lezione organizzata in base a questa strategia. Il punto di partenza è rappresentato, di solito, da un testo breve, concentrato su una certa situazione di comunicazione quotidiana (“Le spese”, “Una telefonata”, “In gita” ecc.). L’allievo arriva a conoscere, così, certi campi lessicali e semantici, attraverso il loro uso immediato – ascolto, ripetizione, lettura, scrittura. Egli diventa cosciente di certi fenomeni grammaticali isolando la parola nel testo, sottolineandola, mettendola in evidenza con un altro colore ecc. L’ulteriore riflessione grammaticale spinge l’allievo a ricomporre da solo, in base ai termini incontrati nel testo, il paradigma del fenomeno grammaticale (per esempio, dopo l’identificazione dei sostantivi maschili, alcuni al singolare, gli altri al plurale, si può chiedere al corsista di trovare da solo le varianti alternative – i sostantivi al singolare si dovranno volgere al plurale e viceversa –, e di concludere per conto proprio, per induzione, sulla regola di modifica formale del nome, a seconda del numero).

Questo metodo consente l’inclusione di diversi aspetti di studio, in una sola unità didattica: le funzioni comunicative, il lessico, la grammatica, la pronuncia e l’ortografia, la cultura e la civiltà italiana ecc. È gradito dalla maggior parte degli attuali corsi di italiano per gli stranieri (Bozzone Costa, 2004; Bozzone Costa-Ghezzi-Piantoni, 2005; Chiuchiù-Minciarelli-Silvestrini, 2004; Katerinov, 1976; Katerinov-Boriosi Katerinov, 1985; Ziglio-Rizzo, 2001; Balì, 2002; Ziglio, 2003 etc.).

I vantaggi del metodo induttivo, per l’apprendimento piacevole, funzionale e diversificato dell’italiano sono indiscutibili. In accordo con i principi pedagogici di oggi, l’allievo non rappresenta più un semplice oggetto, ma si trasforma nel soggetto dell’istruzione. Il docente perde il suo statuto centrale, a capo della lezione, e si trasforma in un compagno di dialogo e in un coordinatore delle nuove tappe di apprendimento per mezzo della scoperta. È ugualmente significante il prodotto di questo tipo di studio, per il fatto che rappresenta il risultato della scoperta del corsista, costituisce una ricompensa dei suoi sforzi e non la meccanica appropriazione delle sentenze presentate ex cathedra.

Gli eventuali svantaggi del metodo induttivo, in paragone a quello deduttivo, esistono e non si devono nascondere. Essi si riferiscono al più lungo tempo assegnato per raggiungere gli stessi scopi (per esempio, è più facile insegnare, per via deduttiva, il completo paradigma dell’indicativo presente, invece di “indovinarlo” successivamente nei suoi aspetti, per induzione, in base a un testo tematico e in seguito a un ampio dialogo insegnante-discente). Allo stesso tempo, l’insieme grammaticale non sarà più configurato dal semplice al complesso, secondo un’evoluzione logica (l’alfabeto, le regole di pronuncia, il genere e il numero dei sostantivi, l’articolo determinativo e così via), ma sarà sottomesso a una finalità pragmatica, prendendo in esame gli elementi grammaticali secondo l’ordine della loro frequenza nel discorso (il pronome personale io, tu, lui, lei; i verbi all’indicativo presente che esprimono immediate esigenze: ho, sono, vedo, voglio ecc.). Il materiale grammaticale non sarà quindi disposto in modo strutturale e sistematico, nella mente del corsista, ma sarà depositato, secondo il criterio della frequenza dell’uso, a livello dei suoi riflessi di comunicazione. D’altronde, in base a questo metodo non si dovrà insistere, per forza, sull’apprendimento cosciente della grammatica, invece si tenderà a mettere l’accento sulle virtù d’uso pratico, rapido, della lingua straniera.

Il metodo induttivo, in quanto non prende in considerazione – se non in modo sporadico – la variante dell’insegnamento bilingue e i parallelismi con la lingua materna, è soprattutto indicato per i gruppi di corsisti eterogenei dal punto di vista linguistico (di diverse nazionalità), che tendono al livello medio delle competenze (visto che eccellenti risultati non si possono raggiungere senza la padronanza cosciente dei fenomeni grammaticali), e che eventualmente si ritrovano nella stessa zona di finalità professionale. Abbiamo avuto anche noi l’occasione di sperimentarlo in parte, nel contesto dei corsi organizzati per le infermiere che studiavano la lingua straniera, in vista del lavoro in Italia. Allora, per incoraggiare l’uso supplementare del lessico specifico, ci siamo giovati dell’appoggio di un manuale di specialità (Grasso, 2005).

L’esigenza che il docente possa scegliere liberamente il metodo e le tecniche adatte, secondo le circostanze variabili, ci è stata confermata anche in un’altra situazione. Per l’insegnamento intensivo dell’italiano a un gruppo di giovani informatici-programmisti, assunti a Cluj-Napoca da una ditta italiana che voleva assicurarsi, progressivamente, la comunicazione diretta con loro, ci siamo ritrovati nella situazione di impartire le lezioni all’interno di un laboratorio informatico, privo della tradizionale lavagna o dello schermo di proiezione, che permettesse la convergenza dell’attenzione di tutti i corsisti. In queste circostanze, abbiamo scelto di costituire una rete interna di comunicazione, per mezzo dei computer. Dopo la breve presentazione della lezione (secondo il metodo deduttivo), l’insegnante inviava l’esercizio ai corsisti. Su ogni computer, l’esercizio veniva risolto individualmente, e poi era rimandato al computer principale, del coordinatore. In seguito alla raccolta dei risultati, questi erano poi mostrati a tutti i membri del gruppo, e le opzioni erano discusse, paragonate e analizzate. Nonostante i buoni risultati raggiunti con questa strategia, il corso è stato sospeso dopo le prime tre lezioni, perché gli imprenditori italiani si sono ulteriormente rifiutati di sborsare il controvalore promesso delle ore.

c) Metodo funzionale. Si basa specialmente sulle critiche degli specialisti americani, per quanto riguarda l’insegnamento della grammatica durante le ore di lingue straniere. Secondo l’edizione del 1950 della Encyclopedia of Educational Research, “non vi è alcuna relazione significativa fra grammatica e composizione, fra grammatica e interpretazione letteraria”; “la grammatica non serve a disciplinare la mente”; “i dati sperimentali hanno rilevato una scoraggiante mancanza di nesso fra la conoscenza grammaticale e la migliore utilizzazione delle capacità espressive”; “l’affermazione che la conoscenza grammaticale sia utile per apprendere le lingue straniere non è accreditata dall’evidenza dei fatti sperimentali”; “la pratica non conferma la teoria che la grammatica contribuisca al miglioramento delle capacità di lettura” (Katerinov, 1989). In base a questi principi, si può progettare un metodo funzionale di insegnamento dell’italiano, che faccia a meno dello studio della grammatica (ritenuta troppo “pesante”). L’essenza di tale metodo consiste nell’apprendimento delle basilari situazioni comunicative, presentate dall’insegnante e ripetute con insistenza, a voce alta, individualmente e in coro, dai corsisti. Le spiegazioni sulle causalità o sui paradigmi della comunicazione mancano. L’apprendimento è centrato sul lato sintagmatico, di superficie, delle poche situazioni standard. Spesso, può mancare perfino l’elemento scritto della lezione, invece l’accento si mette sul lato verbale-comunicativo.

Il metodo funzionale può dimostrarsi utile in alcune specifiche situazioni, come per esempio quelle di gruppi turistici che frequentano i corsi di lingue straniere a scopi “mondani”, di hobby, quando si propongono, durante la visita in un Paese, di acquisire anche nozioni elementari sulla lingua locale. Si può usare, ugualmente, in alcune circostanze speciali (comunicate sulla ricordata lista di conversazione degli insegnanti di italiano, gestita dall’Università di Perugia): lezioni di italiano impartite ad immigranti adulti, completamente analfabeti, venuti dall’Africa. In simili circostanze, è ovvio che l’appello alla grammatica potrebbe determinare il fallimento dei corsi, ma è altrettanto chiaro che il metodo funzionale permette soltanto l’apprendimento elementare della lingua italiana (livello A1).

Riteniamo illustrativa la seguente situazione che abbiamo riscontrato. Mentre partecipavamo ai corsi di aggiornamento dell’Università per Stranieri di Perugia, siamo stati invitati dal professor Angelo Chiuchiù nella vicina Assisi, a visitare la sua scuola privata di lingua italiana. Dopo alcuni giorni, andando nella città di San Francesco, abbiamo cominciato a cercare quell’istituzione. Con il passar del tempo, non trovando l’indirizzo, abbiamo deciso di rivolgerci a un passante. Per caso, si trattava di un giovane monaco, a cui abbiamo fatto la semplicissima domanda: “Per favore, dov’è l’Accademia di Lingua Italiana di Assisi?”. Questo ci ha risposto, con un forte acccento inglese: “Io sono studente dell’Accademia di Lingua Italiana di Assisi”. “Perfetto, allora potrebbe dirci dove si trova l’Accademia di Lingua Italiana di Assisi?”. Il passante ha fatto una faccia spaventata, come prova che non capiva le nostre parole. Messo in difficoltà, ha ripetuto: “Io sono studente dell’Accademia di Lingua Italiana di Assisi”. Dopo altre domande, che trovavano invariabilmente la stessa risposta, come nel teatro dell’assurdo, abbiamo alzato per caso lo sguardo e abbiamo scoperto, sopra le nostre teste, l’iscrizione che indicava l’ingresso all’istituzione cercata. Abbiamo avuto in seguito l’occasione di assistere, grazie al cortese invito, a una lezione di italiano per gli stranieri, tenuta da un insegnante giovane e molto dinamico. Abbiamo notato che il metodo funzionale, impiegato in quella occasione, concedeva ai corsisti, in gran parte dei turisti, di memorizzare sintagmi frequenti, d’uso ricorrente, ma senza offrire loro un’apertura ai paradigmi della lingua italiana. Allora ci siamo spiegati perché il monaco incontrato prima era in grado di dirci che era studente di quella scuola, ma non dove si trovasse essa o come la si potesse raggiungere.

Per quello che riguarda i tre metodi diversi di insegnamento dell’italiano, vorremmo sottolineare che, nella nostra opinione, essi non sono collegati a certi momenti dello sviluppo del pensiero pedagogico. Non riteniamo, per esempio, che il metodo deduttivo si possa “esiliare” nel periodo strutturalista degli anni ‘70-‘80 (i cui principi, tuttavia, esso include). Non possiamo neanche accettare l’assoluta validità del metodo induttivo, benché sia proclamato dalla maggior parte degli attuali corsi professionali di italiano per gli stranieri. In realtà, la scelta del metodo di insegnamento è di esclusiva competenza dell’insegnante e dipende dalle circostanze variabili che lui deve affrontare, in ogni diversa situazione. Quanto è inadatto il metodo deduttivo, nel contesto delle lezioni elementari, di breve durata, che puntano alle competenze di livello A1, altrettanto inadeguato si rivela il metodo funzionale, nella situazione dei corsi organizzati presso i licei bilingui o presso le università di specialità, che tendono a raggiungere il livello B2 o C1.

Qui sentiamo anche il dovere di esprimere la nostra critica aperta, contro alcune situazioni riscontrate in Italia, dove certi dirigenti scolastici si prendevano la libertà di imporre agli insegnanti subordinati il metodo di insegnamento che dovevano usare, e quindi offendevano la loro competenza professionale e la loro dignità personale.


4. Evoluzione modulare dell’insegnamento. Un aspetto importante, a cui i giovani docenti devono abituarsi, è dato dal fatto che l’insegnamento non segue una evoluzione lineare. La materia deve essere segmentata in unità didattiche (le quali, spesse volte, come accenavamo sopra, possono essere interdisciplinari), con dei particolari momenti: a) insegnamento; b) rinforzo; c) verifica; d) ripasso. Solo dopo aver superato tutti e quattro i momenti dell’unità didattica, si avanza alla successiva unità didattica.

Secondo la complessità dell’unità didattica, si può assegnare un numero diverso di ore per il suo insieme, o per una sua determinata parte. Certo che, nella situazione di un’unità didattica di facile apprendimento, le quattro tappe si possono concentrare in una sola lezione. Ma, di solito, la lezione rappresenta soltanto un insieme minimo di apprendimento, incluso nell’unità didattica.


5. Tecniche didattiche. Dopo avere stabilito il livello di competenze a cui deve puntare, le circostanze variabili e il metodo da usare, secondo il tipo di lezione impartita all’interno dell’unità didattica, l’insegnante deve scegliere le tecniche didattiche. Si tratta dell’insieme di strumenti usati per l’apprendimento della lingua italiana. Esse sono ampiamente descritte nella letteratura specialistica (vedi, per esempio, Balboni, 1998, p. 131-192). Non ci proponiamo qui di ripensarle o di rivoluzionarle, ma soltanto di farne una breve sintesi.

Ecco, secondo gli specialisti, l’ampia varietà di interventi pratici che, in base alla situazione concreta, si trovano a disposizione dell’insegnante: l’accoppiamento lingua-immagine (l’allievo deve fare un giusto legame tra gli elementi di una serie d’immagini e quelli di una serie di brevi testi descrittivi); l’accoppiamento parola-definizione (l’allievo deve fare un giusto legame tra gli elementi di una serie di parole e quelli di una serie di definizioni); l’ascolto selettivo (l’allievo deve riconoscere certi elementi, o il maggior numero di elementi di un messaggio fonico in lingua straniera); la canzone come finalità didattica (l’allievo deve identificare il maggior numero di elementi, nel testo di una melodia famosa); la procedura cloze (l’allievo deve ricostituire le parole che mancano in un testo); gli esercizi di completamento (l’allievo deve ricostituire, per esempio, le battute che mancano in un dialogo); la composizione scritta (la redazione di un testo a tema stabilito); le “costellazioni” (stabilire le famiglie lessicali, per catene successive); i cruciverba; il dettato; il dialogo aperto (tra docente e allievo, tra gli stessi allievi, tra gruppi di allievi); il dialogo a catena (l’allievo A chiede “Come ti chiami?”, l’allievo B risponde e rivolge la successiva domanda all’allievo C); la domanda diretta (fatta dal docente a un certo allievo); la domanda frontale (fatta dal docente all’intera classe); la drammatizzazione (la messa in scena di un testo del manuale); l’esclusione (l’allievo deve eliminare, da un gruppo di parole, l’elemento irrilevante); l’esplicitazione di alcuni termini (l’allievo deve riconoscere e deve sottolineare, in un testo, certe componenti: soltanto i nomi propri, soltanto i pronomi personali ecc.); l’incastro di parole nelle frasi (l’allievo deve rifare l’ordine logico della frase, ridisponendo la successione delle parole); l’incastro di paragrafi (l’allievo deve rifare l’ordine logico dei paragrafi, secondo l’evoluzione epica di un testo); l’incastro di testi (l’allievo deve stabilire l’ordine logico di alcuni testi in apparenza indipendenti: una lettera personale, un articolo di legge, un verbale di contravvenzione, l’attestato di avvenuto pagamento etc.); l’individuazione degli errori (l’allievo deve identificare ed eliminare gli sbagli ortografici / lessicali / grammaticali / logici di un testo); gli esercizi di sostituzione (l’allievo deve eseguire un numero di modifiche in un testo: mettere i nomi al plurale, volgere i verbi all’imperfetto ecc.); la memorizzazione di una poesia; il monologo (nella presentazione di una relazione, all’esame ecc.); la parafrasi (la trasposizione di un testo, da versi in prosa, o l’esplicitazione per mezzo di sinonimi); la perifrasi (l’esplicitazione di una parola, riassumendo i suoi significati nella lingua di destinazione); il riassunto verbale o scritto (l’allievo deve comprimere un messaggio sentito o letto, in ordine cronologico o causale degli accaduti, con un numero fisso di parole stabilite, che si può diminuire successivamente: 200, poi 150, 100, o 50 parole, per testare anche le sue capacità logiche); la ricopiatura di un testo; il roleplay (gli allievi si traspongono in una situazione immaginaria e creano dei dialoghi tra diversi personaggi); gli esercizi a scelta multipla (l’allievo deve trovare la risposta giusta, di solito tra le tre possibili varianti); la stesura di appunti (stabilire un sistema di abbreviazioni e di compressione dell’informazione ricevuta); la finta conversazione telefonica; la traduzione scritta; la traduzione simultanea (orale); la transcodificazione (il “racconto” verbale di un disegno, di un film); la trasformazione di genere (trasporre una conversazione telefonica in una lettera, di un telegramma in una SMS); la trasformazione di modalità (volgere un testo dal discorso diretto in discorso indiretto o viceversa) ecc.

 

Conclusioni. In base alle situazioni sopra descritte, probabilmente si capisce perché, nel campo dell’istruzione, c’è una permanente ricerca ed esplorazione dei migliori metodi di insegnamento-apprendimento. Così si spiega anche il fatto che non ci sia un unico metodo, perfetto, usato da tutti, dagli inizi e fino a oggi. Assistiamo, in realtà, a una permanente modifica dei diversi elementi coinvolti nella lezione: i corsisti, le loro finalità, le circostanze tecniche e curricolari a disposizione dell’insegnante ecc. Tra tutti questi, egli deve scegliere il miglior metodo per raggiungere le sue finalità di apprendimento. Non basta che un buon insegnante sia in padronanza di un insieme di informazioni sulla lingua italiana, sulla letteratura italiana, sulla pedagogia, sulla psicologia della scuola e sulla metodica dell’insegnamento. Disposta al crocevia di queste cinque discipline, la sua attività deve riflettere l’abilità intellettuale di adeguamento al curriculum, con la scelta del metodo e con la ripresa delle tecniche più adatte. Egli deve trasmettere ai discenti non un insieme di informazioni, invece un complesso di competenze e di applicazioni. La creazione, lo sviluppo e l’estensione delle quattro abilità fondamentali di comunicazione in italiano dei corsisti, per mezzo della metodologia più adatta, imposta dalle circostanze dell’apprendimento, rappresentano l’obbligo professionale dello specialista.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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(Relazione presentata alla Conferenza Internazionale

“Real & Virtual in Learner’s Development”, Cluj, 2010)