Laszlo Alexandru
IMPRESSIONI DALL’UNGHERIA
“Sento enormemente e vedo mostruosamente.”
(I.L. Caragiale)
Ero
comunque indisposto dalla fatica. L’estate era passata come di nascosto. Avevo
lavorato all’esaurimento e le vacanze finivano troppo presto. L’idea di una visita
per due giorni, a Budapest, mi è sembrata una buona soluzione per cacciare via i
brutti pensieri. La realtà romena era intanto stracolma di notizie allarmistiche
sulla crisi economica, sulla diminuzione degli stipendi, sullo spettro della disoccupazione,
o sugli scandali fabbricati dalla stampa e dai politici. Sentivo il bisogno di lasciare
tutto indietro e di riposarmi.
Si
annunciava bel tempo, la macchina correva facile per la strada rivestita d’asfalto.
Dopo la frontiera, negli altoparlanti della radio si sono inserite le trasmissioni
dei posti locali. Ecco l’opportunità di familiarizzarci con la situazione. Venivamo
così a sapere, dai notiziari, che era appena stato arrestato un commando che, negli
ultimi mesi, aveva attaccato durante la notte, con fucili d’assalto e bottiglie
Molotov, e aveva incendiato diverse case e insediamenti dei Rom. In questi attacchi
erano rimaste uccise sei persone, numerosi beni erano stati distrutti, e una ragazzina
di 13 anni, che aveva assistito agli eventi era ricoverata, in gravi condizioni,
sotto la stretta sorveglianza delle forze dell’ordine. Il commando agiva sotto
la guida di due fratelli, di cui uno aveva lottato da volontario nella guerra
in Bosnia, mentre l’altro aveva lavorato come poliziotto. Durante il
sopralluogo delle truppe speciali, era stato trovato un vero e proprio arsenale
di armi e carte geografiche che stabilivano la strategia per i successivi
bersagli. Nonostante le evidenze, tre dei quattro arrestati contestavano però
il mandato di cattura. Se questo non fosse confermato dal tribunale, i sospetti
venivano rimessi in libertà.
Ci
siamo fermati dal nostro viaggio davanti a un supermercato, per i soliti
piccoli acquisti. Mi ha stupito, sin dall’ingresso, l’aspetto di una banda di
teppisti. Erano degli adolescenti con la testa rasata, i blue geans sporchi e
stracciati, gli orecchini nel naso o nel labbro. Sebbene siamo passati con indifferenza
vicino a loro, per un tempo mi hanno inseguito i loro sguardi pieni di odio e
di disprezzo. Ma siamo arrivati sani e salvi, la sera, alla nostra destinazione,
in un quartiere pacifico e pieno di verde. Abbiamo scaricato i bagagli e abbiamo
posteggiato sotto la finestra, davanti a un lampione.
Stavamo
per iniziare, la mattina successiva, il nostro giro per la capitale dell’Ungheria.
Scesi a prendere la macchina, ne abbiamo comunque trovato i finestrini di destra
pieni di sputacchi. Abbiamo pensato fosse una vendetta più rozza, come quelle
punizioni maleducate delle nostre parti, nel quartiere di
Mănăştur, dove se si occupa il posto di un altro, si rischia poi
di trovare le più spiacevoli sorprese. Ma il posteggio non era prenotato da altri,
dei posti liberi ce n’erano accanto, a chi mai avevamo dato fastidio?
Siamo
andati a visitare dei parenti che abitavano all’altra estremità di Budapest, in
una piccola località turistica. Qui abbiamo saputo che, un giorno prima, l’intera
zona era stata bloccata dalla polizia e dalle forze speciali, arrivate a sorvegliare
la riunione della Guardia Magiara. Si trattava della nota organizzazione nazionalistica
di estrema destra, recentemente messa fuori legge con decisioni del Tribunale e
della Corte d’Appello di Budapest. Tuttavia, alcune migliaia di individui che indossavano
divise nere e stivali di cuoio, ostentando sul petto il tricolore e negli sguardi
il fanatismo che avevo già visto, agitavano le bandiere e abbaiavano i discorsi
arrabbiati. Promettevano a tutti quanti che avrebbero difeso l’Ungheria “su piano fisico, morale e intellettuale”.
I loro giovani tifosi marciavano e prestavano fervidi giuramenti di adesione. Le
camere delle televisioni li seguivano sovreccitate. Gli ufficiali di polizia –
venuti a disperdere la riunione non autorizzata di una formazione politica
vietata – si confondevano in balbuzie, visto che tutto si svolgeva su proprietà
privata ed eccedeva la sfera della loro competenza.
La
sera abbiamo visto un talk show di un posto televisivo della Capitale. Un ex-giudice
della Corte Costituzionale, ormai in pensione, nonché un giovane specialista in
diritto costituzionale hanno condannato, con una sola voce e tanta energia, le azioni
abusive degli organi di polizia, che tra l’altro avevano seguito con sguardi spaventati,
da lontano, la riunione estremistica. Il giornalista “mediatore” della trasmissione
faceva grosse beffe sui politici che, mobilitando gli effettivi di polizia contro
una manifestazione illegale, avrebbero screditato l’immagine delle pubbliche autorità
e avrebbero sprecato i soldi dello Stato.
Eravamo
decisi di andare via il giorno dopo. Siamo usciti con le valigie, ma quando ho aperto
il bagagliaio ho notato che, invece delle spese fatte la sera prima, mi mancava
anche la ruota di scorta. La macchina era stata saccheggiata. Mi sono consolato
con il pensiero che avrei comprato a casa un’altra ruota di scorta e ho cercato
di avviare il motore. Ho osservato che, sotto il volante, i ladri avevano forato
un buco della dimensione del pugno, avevano strappato il sistema di contatto, avevano
legato il loro meccanismo contraffatto e si erano collegati con un portatile al
computer di bordo, nel tentativo di rubare la macchina. Per fortuna, era
intervenuto il sistema di sicurezza, che aveva definitivamente bloccato l’accensione.
Era
la domenica mattina. La polizia aveva delle difficoltà a venire sul posto. Il laboratorio
criminale reagiva ancora più lentamente. Con la stesura dei documenti di
sopralluogo e costatazione, è passata un’altra mezza giornata. Alla fine abbiamo
trovato anche un’officina mobile, a prezzo speciale, che si è recata in servizio
per constatare che non c’era più nulla da fare: la macchina doveva essere trasportata
presso un’officina autorizzata. Durante la giornata di lunedì, gli specialisti mi hanno spiegato che non
c’erano possibilità di riparazione. I pezzi distrutti si dovevano sostituire con altri, nuovi,
ordinati dalla fabbrica in Germania che li produceva a carattere di esemplare
unico e li spediva nel giro di una settimana.
Ho
lasciato l’Ungheria a bordo di un pullman di linea. Aspettavo con ansia di
prendere una boccata d’aria fresca e di ritrovare con entusiasmo la crisi
economica, la diminuzione degli stipendi, lo spettro della disoccupazione, o
gli scandali fabbricati dalla stampa e dai politici in Romania.
(agosto 2009)