Laszlo
Alexandru
DANTE – “INFERNO” – UNA
INTERPRETAZIONE
“Col giudizio con cui giudicate sarete giudicati;
e
con la misura con la quale misurate sarete misurati.”
(Matteo,
VII, 2)
Ringrazio la sig.ra Flavia Teoc e il Centro Culturale Italiano
per avermi invitato a tenere una conferenza su Dante Alighieri. A Cluj, in Romania, siamo
attivi da qualche tempo nel campo dell’italianistica e sono contento che ci sia questo incontro effettivo
delle nostre iniziative con la rappresentanza italiana. Vorrei
parlare adesso dell’Inferno di Dante,
e poi, forse in altre condizioni, in altre circostanze, affronterò ugualmente il
Purgatorio e il Paradiso. La mia presentazione sarà un’esposizione sulla struttura
dell’Inferno. Si tratterà di una interpretazione ma, prima di questo, ci
vuole una sistematizzazione del nostro argomento.
Vorrei
sottolineare sin dall’inizio l’esistenza di tre registri distinti, fusi da Dante
nell’edificio del suo universo letterario. Di solito quando parliamo dell’Inferno,
del Purgatorio o del Paradiso, sappiamo che si tratta di spazi immaginari, che appartengono
alla fede. È la religione a descrivere l’esistenza di queste zone dopo la
morte, dove le anime se ne vanno. È il posto dove siamo ripagati o siamo puniti
per il modo in cui abbiamo trascorso la nostra vita. Ma si tratta di universi dell’immaginario,
abbastanza astratti, di una consistenza piuttosto generale e varia. L’immaginazione
è diversa, secondo una persona o l’altra, secondo un popolo o l’altro, secondo un
periodo storico o l’altro. Quindi anche l’immagine dell’Inferno o del Paradiso è
stata, lungo il tempo, molto diversa. Il poeta italiano approda a questi territori
della fantasia, guidato dalla ragione: ecco il suo specifico paradosso. L’Inferno,
il Purgatorio o il Paradiso erano spazi della fede e dell’immaginazione. Ebbene,
Dante li configura con l’aiuto della mente. Essi si costituiscono al crocevia
di tre zone, di tre discipline, di tre scienze: la mitologia, la geografia
e la morale. In che senso la mitologia
(cioè la scienza sugli dèi e sulla proiezione della genesi del mondo)? È stato
rivalutato il momento mitologico successivo alla Genesi, quando un gruppo di angeli,
sotto la guida di Lucifero, si erano ribellati contro Dio. Che fine fecero loro,
nella visione di Dante? Furono cacciati via, appunto perché non obbedivano più
a Dio, contestavano la sua autorità. Lucifero, caduto sulla Terra, scavò una specie
di imbuto e si conficcò proprio al centro del pianeta. L’Inferno si creò effettivamente
in seguito alla caduta di Lucifero. Ecco il modo in cui
un mito apocrifo, della genesi, è stato usato e trasposto in un contesto
geografico, a un altro livello di rappresentazione.
Dante è il più illustre scrittore del
Medio Evo. Lo spazio infernale non solo ci risulta molto
concreto, modellato come tale, ma include addirittura una gerarchia dei peccati.
L’Inferno era stato percepito, prima del poeta italiano, come una grande
confusione di chiasso, dolore, sofferenze, fumo, fuoco, lacrime ecc. Dante, con
il suo spirito molto razionale, lucido, ha preso tutti questi elementi e ne ha costruito
una struttura precisa, facendo implicitamente una valutazione dei peccati (come risulta
dallo schema accanto). Arrivati nell’Inferno, notiamo una
successione di cerchi. Questa situazione si può facilmente spiegare, se immaginiamo
di dover salire o scendere una collina molto ripida, nella vita di tutti i giorni.
Come facciamo? La nostra macchina o la nostra bicicletta è costretta
ad avanzare in cerchi, a serpentina, perché lo sforzo per salire o per scendere
direttamente sarebbe troppo grande. Anzi sarebbe contrario alle leggi della meccanica
o della fisica. Dante ha intuito questa particolarità e ha immaginato una serie
di cerchi, una specie di spirale. Abbiamo nove cerchi, con diversi peccatori: gli
ignavi, i non battezzati, i lussuriosi, i golosi, gli avari e i prodighi, gli iracondi,
gli eretici, gli omicidi, i suicidi, gli scialacquatori, i bestemmiatori, i sodomiti,
gli usurai, c’è un burrato, poi ci sono i ruffiani e i seduttori, gli adulatori,
i simoniaci (cioè coloro che vendono la parola divina, i preti che chiedono
soldi per perdonarci i peccati, consuetudine che pare fosse un malcostume molto
diffuso al Medio Evo), gli indovini, i barattieri, gli ipocriti, i ladri, i consiglieri
fraudolenti, i seminatori di discordie, i falsari e gli alchimisti, poi c’è un
altro ostacolo: il pozzo dei giganti, e vediamo i traditori disposti in gerarchia,
secondo la gravità dei loro fatti: i traditori dei parenti in zona Caina, i traditori
della patria in zona Antenora, i traditori degli ospiti in zona Tolomea e i traditori
dei benefattori in zona Giudecca. |
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Che cos’è interessante notare? Dante non
soltanto non ha buttato lì tutti quanti, a vanvera, ma questa sua struttura riflette
anche una gerarchia dei peccati. Nella visione dell’autore, più si scende e ci si
avvicina a Lucifero, più grande è il peccato. Più si sta lontani da Lucifero,
più il malfatto commesso è considerato meno grave. C’è tanta gente peccatrice, ma
le colpe non sono identiche e non sono ugualmente condannabili. La
disposizione delle anime all’Inferno esprime un giudizio di “valore” sui peccati.
Possiamo decifrare quindi lo schema dell’Inferno anche come un’immagine del
pensiero medioevale. Che cosa si considerava una colpa grave, nel Medio Evo, e che
cosa si riteneva a quei tempi piuttosto scusabile? Ripeto, più si scende, più il peccato
è pesante, la punizione è terribile, dolorosa, il cerchio si stringe. (Vorrei sottolineare
ugualmente che non mi riferisco qui agli aspetti dell’espressione artistica nella
Divina Commedia. Non parlo assolutamente
dei versi, della rima, delle terzine, delle figure stilistiche ecc. Adesso sto
affrontando esclusivamente il contenuto del messaggio dell’Inferno.)
Come mai ha pensato Dante di
descriverci questa realtà immaginaria, con un’apparenza così concreta? Si deve aggiungere
– prima di dare una risposta a tale domanda – che il principale scopo dell’autore
non fu quello di creare necessariamente un’opera d’arte, che noi dobbiamo
semplicemente ammirare. Egli volle offrire prima di tutto uno strumento di
insegnamento, per farci pensare – mentre leggiamo il suo libro – a noi stessi e,
forse, per offrirci la possibilità di collocarci là dove consideriamo di meritare. Trasponendoci
con la mente in quelle situazioni, dovremmo cercare di correggere la nostra vita,
per evitare i cerchi infernali. Prima di un’opera d’arte, che ci impressioni, si
tratta di un’opera d’insegnamento, che ci mostra la strada giusta. Questo aspetto
mi sembra importante da sottolineare. Ebbene, per raggiungere l’effetto voluto,
per essere più convincente, che cosa immaginò l’autore? Mise se stesso al
centro dell’azione! Dante è non solo lo scrittore che progetta quella struttura,
ma è ugualmente il personaggio che percorre l’Inferno. Ci va perché, in un certo
momento, si è perso. Ci possiamo identificare anche noi con lui, perché anche noi,
un giorno, possiamo perdere la via giusta. Cercando di uscirne, gli viene incontro
Virgilio, il grande poeta del mondo antico, il suo maestro d’ingegno artistico,
quel Virgilio che era già morto e, in forma spirituale, era condannato all’Inferno
(poiché tutti i non battezzati ci arrivano). Dante, sorpreso in un momento di
smarrimento – non sappiamo se sogni, non capiamo se vaneggi, ignoriamo se si
tratti di un viaggio reale, visti gli elementi geografici molto concreti che ci
sono, e ci troviamo infatti un’accumulazione, una pluristratificazione di sensi
– si fa prendere “in consegna” e guidare da Virgilio. Percorre a spirale, in
basso, tutto l’Inferno, da spettatore – e a volte perfino da attore – in tutte le
avventure che seguiranno. |
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La cosa più convincente, per il
lettore, è quando l’autore viene e gli dice: “Adesso ti spiego ciò che ho visto!”.
Se invece prova a dirgli: “Sai, ho immaginato che dovrebbe essere più o
meno così”, diventa meno credibile. Ma se racconta che ci è andato personalmente
e gli spiega che cosa ha visto con i suoi propri occhi, la forza d’impatto del
messaggio è incontestabile e inevitabile. Dante scende a spirale, sempre verso
la sinistra. (C’è un’importante simbolistica anche qui: la mano sinistra è il
simbolo del peccato. La mano destra, la parte destra – il simbolo della
salvezza, della purificazione. D’altronde, nel Purgatorio si salirà sulla destra.
Il Purgatorio sarà una montagna, e il Paradiso, una successione di cieli. Ma si
tratta di altri due libri e non vorrei insisterci adesso. Basti aggiungere solo
questo: i metodi di locomozione attraverso i tre regni sono diversi. All’Inferno
si scende, nel Purgatorio si ascende, nel Paradiso si vola. I tre regni assomigliano
solo nella configurazione estremamente precisa, chiara e razionale della loro costituzione,
della loro struttura.) Dante, guidato da Virgilio, scende successivamente in questi
cerchi e assiste a diversi incontri esistenziali, avventure e rivelazioni
personali. Il cerimoniale è un po’ lo stesso dappertutto: si entra in un
determinato cerchio, i due osservano che cosa succede là, quali peccati vengono
puniti, qual è la tortura inflitta e poi incontrano uno-due personaggi rappresentativi,
del mondo antico o di quello contemporaneo a Dante, della realtà medioevale, fiorentina,
italiana. Per esempio quando arrivano tra i golosi, ci trovano un grande goloso,
che racconta loro perché si trova là e chi altro c’è accanto a lui. Quando
arrivano tra i simoniaci, ci trovano un grande simoniaco, che racconta loro chi
è il Papa che arriverà accanto a lui. E così via. Il “testimone” principale, il
protagonista-narratore, incontra tutt’una serie di “testimoni” secondari, che ci
raccontano in prima persona, con massima credibilità, che cosa succede effettivamente.
Un altro aspetto importante da precisare, a mio
parere, riguarda il principio guida della “vita” dell’Inferno.
I peccatori sono puniti in base alla regola dell’equivalenza (“la legge del
contrapasso”). Ogni tipo di peccato è punito in un modo equivalente. Per
esempio i lussuriosi, coloro che hanno tradito in amore, volano come gli uccelli
e sono colpiti contro le rocce, senza un attimo di riposo. Qual è stata la loro
colpa, durante la vita? Non sono rimasti fedeli, accanto al compagno destinato,
ma hanno girato alla ricerca di altre avventure amorose, si sono agitati alla
ricerca di nuovi piaceri carnali. Ora non gli si concede più nessun momento di
sosta, di riposo, i lussuriosi non hanno nessuna possibilità di diminuire la
propria sofferenza o di sfuggire la tortura. (Vi ricordo che l’Inferno è per
sempre, non c’è via di ritorno, “Lasciate
ogni speranza, voi ch’entrate” sta scritto sulla porta.) Oppure gli
indovini, per esempio, come hanno sbagliato? Hanno rivolto i loro sguardi verso
il futuro. Ma questo offende Dio, perché Egli solo è colui che tiene le chiavi
del tempo. Soltanto Egli può sapere che cosa ci succederà. Quelli, però, hanno
sfidato, hanno infranto la volontà e la legge di Dio. Come sono puniti, secondo
la regola dell’equivalenza? Gli indovini girano piangendo, camminano lungo il
cerchio, per l'eternità, solo che hanno la testa rivolta indietro così che – lo
dice Dante in modo molto espressivo e duro – le lacrime di dolore scivolano sulle
loro spalle e bagnano le loro natiche. Il poeta medievale sa essere anche estremamente
brutale e ha immagini di grande impatto realistico. |
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Quindi la legge dell’equipollenza governa
l’Inferno. Ciascuno viene punito con quello che ha peccato. Ecco la ragione per
la quale ho ritenuto adatto come motto della mia presentazione la seguente citazione
della Bibbia (Vangelo secondo Matteo,
VII, 2): “Col giudizio con cui giudicate sarete giudicati; e con la misura con la quale
misurate sarete misurati”. Questo punto di vista etico è il
pilastro su cui Dante stesso costruì il suo impero immaginario, eppure così razionale:
fu spinto dall’imperativo di non essere né eccessivo, né troppo mite nel suo
giudizio.
Prima di confrontarci con gli aspetti
dell’interpretazione, vi propongo però una piccola sintesi. Non possiamo
interpretare senza sapere effettivamente di che cosa si tratta. Vi invito a guardare,
successivamente, quali sono i peccati e i peccatori dell’Inferno di Dante.
Gli ignavi – Corrono nudi, punzecchiati da mosconi e da vespe; il loro sangue è divorato per terra da orribili vermi. I non battezzati – Soffrono spiritualmente per il desiderio impossibile di vedere il volto di Dio. Abbiamo già alcuni personaggi che Dante incontra nel suo viaggio. Sono i grandi poeti dell’Antichità: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e Virgilio stesso, che gli farà da guida. Il posto di Virgilio è nell’Inferno perché è stato infedele, nel senso che è stato non battezzato. Da qui, dal suo cerchio, è salito per accogliere Dante, per dargli una mano, e insieme a lui percorre poi tutta la strada dell’Inferno, fino alle profondità. Come soffrono i non battezzati, tra cui troviamo anche i grandi artisti, i grandi filosofi dell’Antichità? Loro non sono tormentati da una tortura fisica. La loro sofferenza è di natura spirituale: stanno (“e meditano”, come diremmo dalle nostre parti) e desiderano vedere il viso di Dio. Il loro peccato è stato commesso per mezzo dell’intelletto, cioè nelle loro meditazioni, lungo la vita, non hanno preso in considerazione la vera fede cristiana. Dio è il bene assoluto. Questo bene loro non lo vedranno mai, non lo troveranno mai, perché l’hanno ignorato durante la vita, quindi non lo meritano neanche dopo la morte. È una tortura spirituale, non fisica: si manifesta nell’immensa nostalgia per il bene a loro inaccessibile per l'eternità. I lussuriosi – La tempesta colpisce gli spiriti peccatori e li sbatte contro le rocce, senza la possibilità di nessun riposo. Personaggi caratteristici sono qui Francesca da Rimini e Paolo Malatesta. Dovrei fare tutt’una serie di conferenze per parlarvi dei grandi personaggi della Divina Commedia, e ciò adesso, purtroppo, non è possibile. Vi lascio scoprire da soli la storia degli infedeli in amore, il modo in cui Francesca ha tradito il marito con il cognato, perché, com’è successo ecc. I golosi – Stanno stesi sotto la pioggia, dilaniati da Cerbero (l’orribile cane con tre teste) e urlano di dolore. Il personaggio emblematico di questo canto e di questo peccato è Ciacco. Gli avari e i prodighi – Due file di peccatori spingono dei grossi sassi da direzioni opposte, si incontrano e si cozzano gli uni contro gli altri all’infinito. Mentre si urtano, si insultano a vicenda. Ritornano, percorrono la strada di ritorno, si incontrano di nuovo, dalla parte opposta, e si insultano ancora. Gli uni gridano agli altri: “Perché sprechi?”. Gli altri gli rispondono: “Perché sei avaro?”. Lo notava Cesare Pavese, nel suo diario Il mestiere di vivere, che qui si riconosce meglio la legge dell’equivalenza. Che cosa fa davvero male a un avaro? Se lo bastoni? Non gliene importa! Se non gli dai da mangiare? Nessun problema, perché comunque del cibo se ne priva da solo. La sua più grande sofferenza è vedere un altro come “butta via” i soldi con insensatezza. E viceversa. Un prodigo impazzisce a vedere l’altro come “nasconde gli spiccioli” in tasca! Assistiamo così a una tortura reciproca, loro si tormentano a vicenda, un metodo pieno d’ingegno che Dante ha escogitato.
Gli iracondi – Giacciono nel fango, si
colpiscono con le mani e con
i piedi, si mordono, si stracciano. Il peccatore caratteristico è Filippo
Argenti. Sono stati arrabbiatissimi, lungo la loro esistenza, non puoi parlare con
loro, ti insultano, sono privi di pazienza, sembrano sempre avercela con te. La
stessa cosa gli succederà, con intensità aumentata, nell’aldilà. Si divoreranno,
si morderanno, si stracceranno. Gli
eretici – Sono sepolti in tombe di fuoco. Figura tutelare: Farinata degli
Uberti. È uno dei personaggi di grande impatto e risonanza, uno degli eroi della
storia fiorentina, uno degli avversari politici di Dante. Non insisto qui sulla
situazione politica italiana nel Medioevo: chi furono i guelfi, chi i ghibellini,
chi i guelfi bianchi, chi i guelfi neri ecc. Basti dire che Dante ritrova
Farinata all’Inferno, ma lo rispetta, perché è un uomo di grande statura, di grande
valore personale.
Ecco un’altra situazione notevole della
Divina Commedia. Le reazioni del personaggio
Dante sono estremamente diverse e sorprendenti per noi, i lettori. Ci darebbe
fastidio se il protagonista andasse incontro a ogni peccatore e gli facesse una
predica, lo rimproverasse: perché hai commesso questo e quell’altro? Non ti vergogni?
Guarda come sei ridotto! ecc. Ma non è questo il caso di Dante. Egli è un uomo in
carne e ossa, che soffre e rimpiange, che condivide la tortura inflitta ai dannati o anzi,
vorrebbe eventualmente aumentare la tortura, perché gli sembra che un peccatore si meriti una
punizione ancora più grave. A volte, come succede nell’incontro con Francesca,
egli sviene per il dolore, per la pietà, vedendo i due cognati condannati in
eternità alla sofferenza. In altri posti, come succede davanti a Farinata, lo rispetta,
ci parla con grande dignità, ne rimane impressionato. In altre parti ancora, confrontandosi
con i traditori, li disprezza e persino li “tortura” in più. In un momento
culminante dell’Inferno, Dante afferra Bocca degli Abati per i capelli
e lo colpisce, lo malmena. Sono reazioni estremamente
diverse di Dante come personaggio e protagonista. Anche per questo, egli riesce
a coglierci di sorpresa. Ma andiamo avanti.
Gli omicidi – Sono affondati in un fiume di sangue bollente, sorvegliati
dai centauri (animali mitologici, metà cavallo, metà uomo, che hanno qui il ruolo
di guardiani). Personaggio di riferimento: Nesso, il centauro-guida. Vorrei dirvi che in questo diluvio di
sangue bollente giacciono soprattutto i tiranni, i dittatori. Temo che il
nostro Ceauşescu da queste parti lo dovremmo cercare, caso mai andremo a
fargli una visita, se non sarà ancora più giù da qualche parte. Due parole su un aspetto di cui non
ho ancora parlato fino adesso. L’Inferno è pieno zeppo di guide, custodi, guardie,
demoni ecc. È estremamente popolato da quelle parti, c’è un affollamento altro
che in Manhattan. Gli uni calpestano gli altri: sia peccatori, sia giustizieri,
si fa fatica a sapere la parte di ciascuno. Abbiamo ugualmente una varietà
molto ampia di “impiegati”. Dante ha ripreso dalla mitologia pagana, greca e
latina, moltissime figure celebri. Per esempio incontriamo Minos, il nocchiere Caronte,
i centauri, i Giganti, Anteo che prende tra le sue mani Dante e Virgilio, al pozzo
dei giganti, e li trasferisce dall’altra parte ecc.
È pieno di personaggi antichi, recuperati e riutilizzati. La Divina Commedia
rappresenta una sintesi anche dal punto di vista mitologico. Quando pensiamo all’Inferno,
forse alcuni di noi ci immaginiamo quello che abbiamo letto nella Bibbia, o
quello che abbiamo sentito dal prete in chiesa. Ma Dante usa anche altre fonti,
oltre alla Bibbia, per costruire il suo universo, egli fa una sintesi delle mitologie
antiche, greca e latina, che conosce benissimo e che mescola con la mitologia
biblica, trapiantando tutto nell’immaginario medievale. I suicidi – Le loro anime sono trasformate in piante e sono stracciate
dalle Arpie (altri giustizieri di origine antica). Figura di riferimento: Pier
delle Vigne. Gli scialacquatori – Sono
cacciati da terribili cagne affamate che, appena li raggiungono, li sbranano a
pezzi. Qual è la situazione di questi “scialacquatori”? Ci confrontiamo nella
dantologia romena con un problema che dobbiamo chiarire. L’equivalente romeno
di “pustiitori” glielo conferisco io adesso, per la prima volta, per definire
un peccato dai tratti piuttosto insoliti. I
prodighi sono coloro che sprecano i soldi con indolenza.
Gli scialacquatori sono coloro che distruggono
i propri beni in modo violento. Questa colpa ci può sembrare abbastanza strana,
perché noi, in Romania, facciamo fatica a riprenderci dopo i traumi finanziari e
materiali del comunismo. Non siamo quindi troppo tentati da un simile peccato. Ai
tempi di Dante ci fu però un padovano, chiamato Giacomo da Sant’Andrea, che aveva
invitato gli ospiti a cena e, per distogliere loro dalla noia, li invitò fuori a
dare fuoco al proprio castello, e così ammirarono tutti insieme un bell’incendio.
Quello si ritroverà certamente qui, tra gli scialacquatori, perché disperse i
propri beni con violenza. Purtroppo le traduzioni romene della
Divina Commedia stabiliscono un’equivalenza
di nome tra i “prodighi” e gli “scialacquatori”, che vengono
chiamati, in entrambi i cerchi, ugualmente: “risipitori”.
Il lettore romeno del poema non può cogliere la differenza.
I bestemmiatori – Sono stesi e si divincolano
sotto la pioggia di fuoco che accende perfino la sabbia sotto di loro. Personaggio
di riferimento: Capaneo. I sodomiti –
Corrono senza sosta sotto la grandine di fiamme. Personaggio di riferimento: Brunetto
Latini, l’ex-maestro di Dante. C’è stato un importante dibattito sulla contraddizione
morale che si trova qui. Il personaggio protagonista, appena vede Brunetto, gli
confessa la sua gratitudine in un brano impressionante, gli dichiara:
“M’insegnavate come l’uom s’etterna”. È stato
il suo professore, Dante lo rispetta, e tuttavia lo colloca all’Inferno. Sarà
Brunetto Latini un sodomita? Abbiamo l’interessante saggio di un dantologo romeno,
Titus Pârvulescu, dove si contesta con argomenti convincenti l’ipotesi che
Brunetto sia stato omosessuale. Purtroppo non possiamo indugiare neanche su questo
aspetto, dobbiamo andare avanti.
Gli usurai – Stanno rannicchiati sotto
la grandine di fuoco, e dal loro collo pende la borsa con l’insegna della
propria famiglia. Personaggio caratteristico: Reginaldo degli Scrovegni, uno dei
peccatori insigni del tempo. I ruffiani e
i seduttori – Sfilano nudi, frustati dai diavoli, per due file opposte. I prosseneti
(che hanno sedotto a favore degli altri) da una parte, i seduttori (peccatori “per
conto proprio”) dall’altra. Personaggio rappresentativo: Venedico Caccianemico.
Gli adulatori – Stanno immersi nello sterco raccolto da tutte le fogne del mondo. Personaggio
di riferimento: Alessio Interminei da Lucca. I simoniaci – Sono dei preti,
ma soprattutto dei vescovi e dei papi
che, ai tempi di Dante, rifiutavano di dare l’assoluzione, durante la
confessione, se non venivano pagati. Non svolgevano la loro mansione che a
pagamento. Stanno conficcati con la testa in giù, in fosse minuscole, e i loro piedi
vengono bruciati dalle fiamme. Personaggio di riferimento: Papa Niccolò III
degli Orsini. Come vedete, Dante non ha nessun problema a collocare i papi e
alcuni grandi ecclesiastici all’Inferno. Egli si fa guidare secondo i princìpi
cristiani, e non secondo l’ipocrita galateo dettato dalla Chiesa medievale. Gli indovini – Li ho ricordati già. Camminano
piangendo, con la testa rivolta indietro, verso le spalle, e così le lacrime bagnano
le loro natiche. I barattieri – Portati addosso dai diavoli, sono buttati dentro
la pece bollente; se escono a galla, sono spinti indietro con gli uncini. Personaggio
di riferimento: Ciampolo di Navarra.
Gli ipocriti – Camminano a stento, indossando i mantelli di piombo, dorati
all’esterno. I Frati Gaudenti. Steso per terra, crocifisso, troviamo il sommo
sacerdote Caifàs. Quando gli fu domandato dai Farisei se Gesù doveva essere condannato
a morte, egli li incoraggiò a crocifiggerlo, sostenendo che era preferibile la morte
di un solo uomo a quella di un intero popolo. Fu un ipocrita, perché sapeva benissimo che
Gesù era innocente. La sua punizione è tanto più terribile. Tutti i dannati, che
indossano mantelli di piombo e fanno fatica a muoversi, a causa del peso, gli marciano
sul petto e lo calpestano all’infinito. I
ladri – Sono cacciati dai serpenti
che attaccano le loro mani, li mordono per il collo, li trasformano in fiamme e
cenere; poi i peccatori riprendono il proprio aspetto; appena finiscono il giro
del cerchio, arrivano allo stesso punto e sono di nuovo morsi dalle serpi e cambiano
ancora l’aspetto. Personaggio caratteristico: Vanni Fucci. Tra i ladri troviamo
anche una delle più orribili punizioni. L’uomo e il serpente si incontrano. Si
guardano. Il serpente gli salta addosso, si avvolge intorno a lui e lo morde.
Poi si ritira. I due, il serpente e l’uomo, si guardano di nuovo, terrificanti. Da
entrambi esce uno strano fumo. Il serpente diventa gradualmente uomo, l’uomo si
trasforma pian piano in serpente: la reciproca metamorfosi.
I consiglieri fraudolenti – Girano sul fondo
della bolgia, come delle lucciole, avvolti nelle fiamme che li nascondono, ma anche
li bruciano. Personaggi di referimento: Ulisse (nel canto XXVI) e Guido da
Montefeltro (nel canto XXVII). Non abbiamo il tempo di insistere su tutte le apparizioni
notevoli, avremmo tantissime cose da dire.
I seminatori di discordie – Alcuni, con gli intestini per terra, camminano spaccati
e dilaniati da un diavolo armato di spada; le loro ferite guariscono, ma il
diavolo li taglia ancora e ancora, all’infinito; vediamo Maometto (colui che si staccò
dal cristianesimo) e suo genero Alì (per cui si separarono i Sunniti e gli Sciiti,
le due fazioni musulmane rivali). Un altro va in giro decapitato, tenendo la
propria testa tra le braccia come una lanterna, per fare luce nelle tenebre: è Bertram
del Bornio, un trovatore francese che provocò la discordia tra padre e figlio, cioè
tra i re Enrico II ed Enrico III d’Inghilterra. I falsari – Giacciono alla rinfusa, coperti di bubboni e scabbia;
si grattano con frenesia, strappandosi la pelle. Griffolino d’Arezzo e Gianni
Schicchi. Gli alchimisti – Sono gonfi
per l’idropisia, immobilizzati per l'eternità. Maestro Adamo. Assistiamo a un’antologica
disputa tra i peccatori ficcati “in gelatina”, che finiscono per litigare e
per tirarsi dei pugni. Si scatenano in una disputa violenta, per il desiderio
di chiarire chi è stato più corrotto e più cinico. Una scenata non tanto umoristica,
quanto stracolma di sarcasmo e di feroce satira.
I traditori dei parenti e della patria - Siamo ormai verso la fine
dell’Inferno, nelle zone più vicine a Lucifero, dove è punita la più grave colpa.
I traditori stanno con il corpo sotto il ghiaccio. Qui si trova quel Bocca di cui
vi parlavo, il mascalzone della cui identità si interessa con tanta insistenza
il protagonista Dante. E chi è Bocca degli Abati? Durante la battaglia di Montaperti,
egli diede il segnale del tradimento, passò per primo dalla parte dei nemici senesi
e tagliò con un colpo di spada la mano del gonfaloniere. Lo stendardo fiorentino
cadde per terra, il cospiratore lo fece a pezzi e ci sputò sopra. L’esercito disorganizzato
fu preso dal panico, la fazione traditrice cambiò fronte e si mise a uccidere i
fiorentini proprio sul campo di battaglia, mentre il nemico scatenato dava l’assalto.
La lotta ebbe una fine disastrosa. Per la sua infamia premeditata a sangue
freddo, Bocca degli Abati batte i denti qui per l’eternità. I traditori degli ospiti e dei benefattori
– Stanno affondati sotto il ghiaccio; i denti di uno rodono il cranio di colui
che gli è accanto. Personaggi di riferimento: il Conte Ugolino e l’Arcivescovo
Ruggieri. Ugolino, egli stesso traditore di Pisa, per essere passato dalla
parte avversa e per aver aperto ai nemici le porte della città, fu a sua volta
tradito dall’Arcivescovo Rugieri, che lo prese insieme ai due figli e ai due nipoti,
lo chiuse in una torre e lo lasciò perire orribilmente, sia lui che i quattro
giovani. La morte per la fame ha una tremenda punizione: il conte divora per l'eternità il cranio dell’arcivescovo. Scene sadiche, scene terribili.
Siamo ormai al centro della Terra. Siamo
arrivati vicino a Lucifero, il mostro con una testa e tre facce, una di color
vermiglio (che simboleggia l’impotenza), l’altra giallastra (simbolo dell’ignoranza)
e la terza nera (il segno dell’odio). Le bocche di Lucifero masticano, strappano
all’infinito i tre grandi traditori della storia dell’umanità: Giuda, Bruto e
Cassio. Che legame c’è tra di loro? Giuda ha tradito Gesù (cioè la Chiesa),
Bruto e Cassio hanno tradito Cesare (cioè l’Impero). Ecco i pilastri fondamentali
dell’esistenza umana nel Medio Evo: la Chiesa e l’Impero. E coloro che hanno
messo in pericolo le basi stesse della società sono strappati a pezzi, per
l'eternità, da Satana. Il diavolo supremo ha ugualmente delle enormi ali da
pipistrello, che sventola all’infinito e con cui provoca un vento freddo, il
quale congela il Cocito dove stanno immersi i traditori.
Non
abbiamo ancora parlato dei tre fiumi dell’Inferno: l’Acheronte, lo Stige e il
Flegetonte, che scorrono in giù (logicamente, secondo le leggi della fisica), nel
Cocito, il lago che diventa un blocco di ghiaccio al movimento delle ali del demonio.
Che cosa fanno i due viaggiatori, Dante e Virgilio? Per superare il centro
della Terra e per uscire nell’emisfero australe, devono scendere lungo il corpo
di Lucifero. Quando arrivano alla sua anca, si capovolgono perché passano
nell’altro emisfero e cominciano a salire. Escono dall’altra parte e, proprio agli antipodi, troveranno il monte del Purgatorio,
dove i due proseguiranno il loro viaggio iniziatico. Ma il regno del peccato si
conclude qui. Dunque l’Inferno è strutturato molto chiaramente, secondo una gerarchia dei peccati. In un certo momento, nel canto XI, mentre i personaggi principali avanzano ed entrano nella città di Dite, Dante fa notare con disgusto alla sua guida che il fetore infernale diventa insopportabile. Non potrebbero fermarsi un po’? Virgilio accetta di fermarsi a chiacchierare un tempo, per far diminuire gli effetti sgradevoli del viaggio. E allora, per distogliere l’attenzione di Dante, che cosa potrebbe raccontargli? Gli descrive (e ci descrive) la struttura dell’Inferno. Che cosa hanno visto fino allora e che cosa vedranno in seguito. Qual è la spiegazione di Virgilio? |
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Nell’Inferno ci sono tre
grandi zone, secondo le tre categorie generiche di peccato. Fino alle mura
della città di Dite troviamo gli incontinenti,
cioè coloro che non si possono trattenere, peccano nell’esagerazione. I golosi mangiano
troppo. I lussuriosi spingono il peccato carnale all’eccesso. Gli avari e i
prodighi tengono troppo o danno troppo. Tuttavia l’incontinenza è ancora un peccato
piuttosto piccolo, che si può capire. Dal VI cerchio in giù, dopo gli eretici, troviamo
i violenti, divisi anche loro in tre
categorie successive: i violenti contro gli altri (colpa meno grave), i violenti
contro se stessi (suicidi e scialacquatori) e i violenti contro Dio (coloro che
lo diffamano o lo offendono). Ma, sta commentando Virgilio, anche gli animali
sono violenti, quindi perfino queste tipologie di peccato si possono ancora
capire, perché dipendono dagli istinti. Segue la categoria più grave di infrattori:
i fraudolenti. Spesse volte loro si
servono perfino della violenza, quindi lo fanno ormai con piena determinazione.
Quando commetti fraudolenza, questo peccato passa per la ragione. Se vuoi
rubare (faccio questo esempio casuale), non puoi agire con l’istinto. Ti fai dei
progetti, pensi a una strategia. Oppure i falsari e gli
alchimisti del Medio Evo non agivano perché non si potevano controllare. No, loro
calcolavano i misfatti. Sempre quando l’infrazione è commessa per
immoderatezza, è più piccola; se la colpa è istintiva, violenta, è alquanto
più grande. Ma quando l’infrazione si realizza per mezzo della ragione, del cervello
– questo è il peccato più grave. O ancora peggio se si tratta del tradimento, quando
fai del male non soltanto a te stesso, ma determini anche la rovina della
propria città e la morte dei tuoi concittadini. È la più bassa abiezione che si
possa immaginare. Perché? La ragione – ed ecco dove riconosciamo Dante, l’artista
razionale! – ci è data per cercare la virtù, non il vizio. E la virtù suprema è
Dio. Questi furono perversi a tale punto che sviarono il vero scopo della ragione.
Invece di cercare Dio, per mezzo della ragione, loro si ingegnarono, tutt’al
contrario, a offenderlo, a infrangere la volontà divina. Ecco le tre grandi
categorie di peccato, punite in progressione. Più scendiamo, più sono gravi: l’incontinenza
(la smisuratezza), la violenza (l’istinto) e la fraudolenza (la ragione sviata).
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Fino
a questo punto si stende la presentazione dell’Inferno
dantesco, che mi sono proposto di fare. Essa si deve
completare tuttavia con alcuni pensieri, formulati da un punto di vista contemporaneo.
Non desidero insistere troppo su quest’ultima parte, di una interpretazione troppo
dettagliata. Vorrei però sottolineare che la gerarchia delle punizioni in Dante
include, alle sue basi, non soltanto il giudizio morale, bensì, in uguale misura,
anche l’immagine di una mentalità medioevale. La domanda che mi sto facendo è se
questa gerarchia sia ancora valida, così come è stata strutturata. Se le regole
immaginate da Dante – che seguiva Aristotele e Tommaso d’Aquino – siano vigenti
anche oggi. Oppure se noi, i (post)moderni, possiamo classificare i peccati
diversamente, o almeno se possiamo esprimere certi dubbi sulla loro presenza tra
di noi.
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Per quanto mi riguarda, sto
insegnando Dante da 15 anni e ho avuto diverse esperienze alla cattedra. Vorrei
presentarvi alcune reazioni venute da parte dei miei studenti, quando gli
descrivevo i peccati e le punizioni di questi. Nel cerchio dei non battezzati troviamo
non soltanto i filosofi, gli artisti, ma anche i neonati, che sono morti prima di
aver ricevuto il battesimo. Loro finiscono ugualmente all’Inferno. Quando ho
spiegato questa situazione ai miei allievi, mi sono dovuto confrontare con una
certa riserva mentale: “I bambini che colpa hanno? Perché dovrebbero andare
all’Inferno? Non è colpa loro se non hanno avuto il tempo di essere battezzati!”.
Sì, però la colpa può segnarci anche in modo indiretto. Non soltanto se la commettiamo
con deliberazione, in modo volontario, ma anche se ci è stata gettata addosso,
per mezzo del peccato originale, a nostra insaputa. D’altronde i bambini dell’Inferno
hanno anche la punizione più indulgente. Non hanno agito male loro,
personalmente, però il fatto che sono rimasti senza battesimo non gli è
perdonato. Secondo le spiegazioni fatte da Virgilio a Dante, la fede è “principio e cagion di tutta gioia”. Coloro
che non sono battezzati non possono salvarsi l’anima, perché non appartengono al
gruppo dei fedeli. La mancanza del battesimo porta automaticamente all’Inferno,
anche se non hai commesso nessun altro peccato.
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Una
discussione interessante c’è stata al terzo cerchio, dei golosi. Una delle mie allieve
più brave (che adesso prosegue i suoi studi in Italia) non ha voluto accettare questa
situazione dantesca. Mi ha detto così, durante la lezione: “Sono a casa mia. Chiudo
la porta a chiave. Prendo il cibo che mi appartiene e ne mangio quanto mi pare.
Non ho rubato a nessuno, non ho ucciso nessuno. Perché mai sarei colpevole?!”.
Qui, però, il problema si deve giudicare diversamente. Le ho risposto così: va
bene, adesso ti chiudi in casa e mangi. Sei soltanto tu, da sola. Ma nei tempi
medievali di Dante, la solitudine non c’era. Non ti potevi chiudere in casa. Eri
una persona in mezzo alla società e dovevi obbedire alla volontà di Dio. Se avevi
la casa, era stata la volontà di Dio che tu ce l’avessi. Se eri sana, era la volontà
di Dio che tu godessi di buona salute, perché avresti potuto anche essere inferma. Se avevi
da mangiare in abbondanza, ne avevi perché Dio te ne aveva dato. E se usavi
in eccesso il dono di Dio, peccavi. Così si devono capire le cose. La colpa della
gola e la punizione di questo peccato sono perfettamente motivate.
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Una
mia perplessità si riferisce agli usurai. Nei nostri giorni, se non vai in
banca, non ce la fai a comprarti l’appartamento. Però la banca che cosa fa? Ti dà
una somma, e poi te la richiede a interesse. La stessa cosa fa anche il vicino
di casa o l’amico che ti presta i soldi e poi te ne richiede di più. Qual è la
differenza? L’usuraio è punito dalle leggi, appena è preso, invece la banca non
è punita da nessuno, anche se l’essenza della sua attività è la stessa. C’è qui
un’ipocrisia, che non so se oggi è ancora legittima o meno: punire l’usura, che
costituisce le basi stesse dello sviluppo economico, significa forse scoraggiare
l’evoluzione della società.
La
simonia: non ci si perdonano le colpe, in chiesa, durante la confessione, che
in cambio dei soldi pagati al prete. Sta per scomparire questa infrazione, anche
se ci sono ancora parecchi chierici che, pure adesso, chiedono un contributo annuo
“d’obbligo” da parte dei fedeli. La frequenza di questo peccato è molto
diminuita, ma esso esiste ancora.
Nell’ultimo
cerchio dell’Inferno troviamo i traditori. Dante vedeva il tradimento come il peccato
più grave in assoluto. Io però vengo a notare una cosa: il tradimento assume ai
nostri tempi degli aspetti molto relativi. In Romania, prima del 1989, ci sono
stati diversi ufficiali della Securitate, della polizia politica (uno, chiamato
Turcu, o un altro, il generale Pacepa) che sono scappati via, alcuni in America,
dove hanno chiesto asilo politico. Coloro sono stati considerati, dal regime dittatoriale,
dei traditori e sono stati condannati a morte. Dopo il dicembre 1989, con la
caduta del comunismo, questi profughi hanno cambiato radicalmente il loro statuto,
sono diventati grandi eroi, gli si restituiscono i beni confiscati, ricevono complimenti
per la loro “premonizione” democratica, ci si dice che hanno preannunciato la caduta
di Ceauşescu e hanno contribuito alla sua fine ecc. Ecco quindi che il tradimento
diventa, sotto i nostri sguardi, una colpa sempre più leggera, sempre meno
evidente, e forse se ne dovrebbe trovare un posto più elevato, da qualche
parte, sulla scala dei peccatori, tra le infrazioni meno pesanti.
Se chiedete a me, come scelta
personale, quale sarebbe la colpa che in questo momento ritengo più odiosa,
più orrenda, vi rispondo brevemente: l’assassinio! Il criminale prende la vita
di un’altra persona, senza lasciarle nessuna possibilità. Non consente alla vittima
di scegliersi il proprio destino. La violenza con la quale uno sta troncando al
suo simile il diritto all’esistenza secondo me può costituire, ai nostri
giorni, il peccato più grave e più duramente punibile. Dovremmo prolungare fin
troppo questa nostra presentazione, se stessimo a spiegare perché le uccisioni erano
così frequenti al Medio Evo e perché la società era, a quei tempi, più tollerante
con questo tipo di infrazioni. Ma i piccoli particolari non mettono
assolutamente in dubbio la gerarchia dantesca. Essa esiste come tale, sta in piedi
da alcuni secoli e non è stata contestata, in modo credibile, nella sua legittimità,
appunto perché, sia teologicamente, sia filosoficamente, sia esistenzialmente, è
estremamente solida, si appoggia sui grandi filosofi dell’epoca, nonché sui
princìpi estetici e l’esperienza personale di Dante. È una proiezione morale che
Dante Alighieri rispetta e descrive con una straordinaria vivacità, con ricchezza
artistica e anche, diciamolo direttamente, con genio.
(Conferenza
tenuta al Centro Culturale Italiano,
Cluj, Romania, 23 maggio 2007)