Laszlo Alexandru
DANTE TRADOTTO DA ETA BOERIU
…“Limitati al campo epistolare, i nostri legami di amicizia sono sopravvissuti”, conclude Viorica Guy Marica, nella rivista Tribuna di Cluj (no. 87/2006), i suoi emozionanti ricordi dei membri del Circolo letterario di Sibiu. Il gruppo artistico manifestatosi – miracolosamente – nell'oscuro contesto della guerra fu distrutto soltanto dalla sovietizzazione della Romania. Quello che il secondo conflitto mondiale non era riuscito a fare, la pace comunista ebbe il tempo di compiere: lo scioglimento delle relazioni sociali, la sospensione di qualsiasi manifestazione libera, il terrore diffuso tra gli scrittori. L’amicizia si nascose tra le pagine delle lettere. L’atto culturale si trasformò in una sfida individuale.
Davanti alla tempesta staliniana, Eta Boeriu scelse di rifugiarsi nella letteratura italiana. Tutto il territorio fu percorso a piedi. I nomi e i capolavori più rappresentativi, lungo i secoli, trovarono una loro espressione rumena per mezzo della poetessa di Cluj: Dante, La Divina Commedia; Petrarca, Le Rime e Il Canzoniere; Boccaccio, Il Decameron; Michelangelo, Rime; Leopardi, Canti. In seguito: Baldassar Castiglione, Il libro del cortegiano, Giovanni Verga, Mastro-don Gesualdo, Alberto Moravia, Gli Indifferenti, Cesare Pavese, Il Compagno, Elio Vittorini, Erica e i suoi fratelli, La Garibaldina, nonché l’Antologia della poesia italiana. Secoli XIII-XIX e ugualmente Trinacria. Poeti siciliani contemporanei.
L’incontro con la Divina Commedia avvenne sin dai primi anni di studio universitario, durante i corsi di Lectura Dantis, sotto la guida del futuro marito, il professor Umberto Cianciolo. “Il fervore con cui aspettavo questo corso, l’entusiasmo con cui ne uscivo alla fine, il fremito interiore nel quale cominciavo a riconoscere, non ancora con chiarezza, quella «corrispondenza d’amorosi sensi» che si creava tra Dante e me stessa e che mi avrebbe segnato per sempre, spiega lungo gli anni l’audacia della gigantesca prova alla quale mi sottomisi, una sottomissione totale, piacevole come una storia d’amore, quando cominciai a tradurre la Divina Commedia”. Il poema dantesco, iniziale ponte amoroso (“Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”), fu studiato, approfondito, valutato e tradotto, per quindici anni, anche dopo che il primo impulso biografico si era spento e l’amore si era sciolto.
Leggere la Divina Commedia rappresenta comunque una difficilissima avventura, piena di trappole e sorprese, destinate a scoraggiare l’esitante novizio. Ma tradurre la Divina Commedia significa molto di più: dedicare lunghi decenni della tua attività professionale a questo scopo, leggere biblioteche di spiegazioni e analisi, per spiegarti nella mente, sin dall’inizio, il gioco di sensi nascosti “sotto il velame”, riflettere su tutti i particolari delle equivalenze romene, studiare con pazienza quelli che ti hanno preceduto per questa strada della traduzione, contare fino all’esaurimento le 11 sillabe che compongono i 14230 versi che descrivono il regno dell’aldilà.
Avventura tanto ingrata, vista la difficoltà contestuale della sfida. La prima e più importante traduzione rumena completa in versi, di George Coşbuc, esce tra il 1924 e il 1932. Nei successivi due anni viene stampata la variante in prosa del poema, scritta da Alexandru Marcu. La terza completa trasposizione è conclusa sempre fra le due guerre, da Ion A. Ţundrea – il suo Inferno è pubblicato nel 1940, mentre l’intera trilogia solo mezzo secolo più tardi, nel 1999. La quarta variante rumena del capolavoro dantesco, in versi rimasti oltre 50 anni in manoscritto, è dovuta a Giuseppe Cifarelli. Ecco una realtà editoriale molto strana, in cui le traduzioni poetiche della Divina Commedia hanno divorato biograficamente i loro autori, aspettandone la morte per uscire davanti al pubblico, mentre l’unica variante in prosa, che aveva soprattutto finalità didattiche, era introvabile dopo la morte, nelle prigioni comuniste, del suo realizzatore. In un simile contesto, la traduzione romena della Divina Commedia, pubblicata da Eta Boeriu nel 1965, apre la porta verso la gloria.
La terribile difficoltà, per principio, di una simile avventura dello spirito, è dovuta al fatto che Dante Alighieri sintetizza la cultura e inventa la lingua. Come mai si potrebbe trasporre in vesti rumene una realtà storica, quella del Trecento, che manca assolutamente alla nostra percezione? Quale lingua romena potrebbe mai esprimere delle esperienze poetiche che precedettero di due secoli il primo documento in lingua rumena, La lettera di Neacşu? A tali domande, risposte molto diverse ci offrono le versioni di George Coşbuc e di Eta Boeriu. Il poeta della vita rurale si pone gli stessi interrogativi di Dante e segue il suo stesso percorso metodologico: scolpisce l’espressione, scende negli abissi temporali, calca molto rigorosamente le orme del grande fiorentino, accetta la sua sfida e gareggia con lui. La poetessa della dolcezza dell’animo decide di portare Dante più vicino ai nostri giorni e alla nostra cultura: l’espressione è chiaramente modernizzata, il lirismo dell’insieme è più pronunciato, le asperità sono limate, l’equivalenza all’originale si deve ormai cercare non al livello della parola e del verso, bensì a quello, più ampio, della terzina e delle generali corrispondenze. Quello che si guadagna in fluidità, si perde in fedeltà. |
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Successive ricerche portarono Eta Boeriu a questo risultato. Nella prima variante, che risale all’inizio degli anni ‘50, la scrittrice ammette di non poter rispettare l’endecasillabo e la terza rima dell’originale. Traspone quindi l’intero Purgatorio e 6 canti dell’Inferno, con la misura di 14 sillabe e facendo rimare soltanto il primo e il terzo verso della terzina. Nonostante gli incoraggiamenti del professor D. Popovici, la giovane italianista intuisce in modo giusto che tale opzione è insoddisfacente. La sua prima versione si allontanava non solo dalla misura poetica dantesca, ma anche dalle sue particolarità di espressione. La concisione, la sobrietà e la brevità italiane erano diluite, eccessivamente esplicitate e troppo ampiamente espresse in romeno. La seconda variante recupera l’endecasillabo nella trasposizione integrale del Purgatorio e dell’Inferno. L’evoluzione sulla strada giusta è ormai significativa. Lo spirito dell’originale comincia ad essere intuito. Tuttavia manca la terza rima. Le terzine proseguono a scatti, individualizzate. Il legame armonioso tra i versi e la sensazione di fluidità prolungabile all’infinito, che il capolavoro di Dante trasmette in italiano, non risultano ancora in romeno. La sfida lanciata da George Coşbuc agisce in modo fondamentale, a questo punto: sarà forse impossibile raggiungere, cinquant’anni più tardi, quello che è stato già fatto all’inizio del Novecento?! La terza e ultima variante costruita da Eta Boeriu traduce le tre cantiche, l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, rispettando la misura dantesca dell’endecasillabo e recuperando la terza rima. Le esigenze formali del testo sono compiute e il poema può cominciare il suo viaggio, in una nuova veste rumena, alla ricerca dei lettori.
Ma gli impedimenti dalla superficie della traduzione si riverberano negli infiniti ostacoli nascosti nel tessuto del materiale. Eta Boeriu dimostra una profonda conoscenza delle difficoltà da affrontare e le confessa in un memorabile intervento. “Lo spirito appassionato di Dante, carico di pensiero e di poesia, la sua forza evocatrice, la sua fantasia incandescente, la lucidità delle sue visioni erompono ad ogni passo in similitudini, immagini, allegorie, invettive, visioni o dialoghi nei quali, lungo le tre cantiche, il linguaggio più sublime si unisce alle più crude ed audaci espressioni realistiche, il dolore confina col riso plebeo e l’estasi della suprema felicità col digrignare dei dannati” (vedi Come ho tradotto la Divina Commedia, in Cultura neolatina, Bollettino dell’Istituto di Filologia Romanza della Università di Roma, Modena, Società Tipografica Editrice Modenese, 1967, p. 140). Ci voleva la sensibilità di un’artista della parola, insieme alla tenacia di un bracciante, per portare a buona fine una simile scommessa.
Tante cose si potrebbero ancora aggiungere sulla traduzione sculturale di Eta Boeriu: il modo in cui è stata scelta una via di mezzo, tra i troppi arcaismi e la lingua contemporanea, l’uso prudente dei regionalismi, per evitare gli eccessi a volte fastidiosi, la scelta prudente dei neologismi, la destrezza nella traduzione delle similitudini così complesse (che in Dante cambiano, dal mezzo-verso esplosivo, fino alle immagini alternate comparate, estese in due, tre o più terzine – e si arriva perfino a similitudini estese su 18 versi!), le sorprendenti alternanze di ritmo (l’acqua freatica di una descrizione malinconica è strappata dall’azione imprevista, ma anche il contrario, l’avventura frenetica è sospesa da una rimembranza in colori pastello), le formule epigrafiche assolutamente memorabili, con valore proverbiale, l’enumerazione scatenata, l’allitterazione ricca, l’umorismo rozzo, piazzato al di qua del limite della volgarità, gli enunciati enigmatici, destinati ad aumentare con il loro mistero la tensione del viaggio iniziatico e tanto altro ancora.
La Divina Commedia tradotta da Eta Boeriu rappresenta non solo un capolavoro con esistenza autonoma, ma anche un eccellente materiale di lavoro per i dibattiti professionistici nel campo della traduttologia. I numerosi argomenti a favore o contro le opzioni di principio della poetessa non fanno altro che riempire oggi di vita la sua attività artistica. Una vita più lunga del secolo.