Laszlo Alexandru

 

IDEE CHE UCCIDONO



All’iniziativa del presidente della Romania, in ottobre 2003 è stata istituita una prestigiosa commissione internazionale per lo studio dei problemi dell’Olocausto in Romania. I lavori si sono svolti con la presidenza onoraria di Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace. Le ricerche sono state definitivate, le conclusioni sono state stabilite, gli sforzi sono stati sottolineati con gratitudine, nelle allocuzioni di due presidenti romeni successivi (Ion Iliescu e Traian Băsescu). Lo Stato romeno ha incaricato l’Editrice Polirom con la pubblicazione dell’impressionante lavoro. Da questo punto in poi però, un velo grosso di silenzio si stende sul libro incendiario, e non si sa più che cosa si dovrebbe pensare: la gente non l’ha letto, o sceglie soltanto una prudente attesa?

In un certo senso, la tranquillità generalizzata di oggi – interrotta ogni tanto dagli invettivi degli antisemiti – è comprensibile. Il Rapporto finale della Commissione Wiesel ci propone un approccio estremamente complesso, sulla linea dello studio delle mentalità, della biografia dell’intellettualità romena rappresentativa, della storia minuta, con i suoi numerosi particolari tragici, della registrazione di testimonianze dirette della "gente comune", degli acuti dibattiti morali ed esistenziali sul nostro passato e presente, nel XIXo e XXo secolo. Numerose ipotesi lanciate da studiosi su conto proprio, nelle ultime decine d’anni, e combattute da altri ricercatori, sul coinvolgimento della Romania nel grande massacro contro gli ebrei, sono oggi per la prima volta totalizzate e ufficialmente accettate, in un documento con peso storico, politico, diplomatico e (forse) economico.

È assolutamente impressionante soprattutto l’organizzazione logica, minuziosa, seria, del materiale presentato. I fatti sono descritti non soltanto nel momento storico del loro tragico svolgimento, ma con la presa in considerazione dell’intero processo delle "motivazioni", lungo i decenni. Com’è mai possibile che gente pacifica, tranquilla e mite si scagli un giorno contro i vicini di casa o i concittadini, li prenda a pugni e schiaffi, li derubi e li uccida? La risposta a una simile domanda elementare dovrebbe comprendere diversi livelli di spiegazione. Uno di questi mette alle radici la complicità dell’intellettualità rappresentativa. Nomi insigni dell’intellighenzia romena, direttori spirituali del popolo disorientato hanno messo spesse volte il potere della loro influenza a servizio dell’odio. Quando una persona affascinante, intelligente, prestigiosa e carismatica ti ripete con insistenza che l’Ebreo trovatosi accanto a te appartenga a una categoria umana inferiore, la quale non merita il rispetto, il rischio di farsi credere è grandissimo. Invece di continuare a chiederci all’infinito "come mai è stato possibile?", dovremmo rileggerci gli interventi pubblici dei numerosi intellettuali di quei tempi. Dalle idee che uccidono e fino al crimine vero e proprio c’è stato solo un passo – fatto con frenesia.

- Ion Brătianu, uomo politico di spicco, rifiuta nel 1866 la concessione di diritti civili agli ebrei, come lo chiedevano i trattati internazionali, e li qualifica il flagello sociale della Romania: "Solo le forti misure amministrative ci possono salvare da questa disgrazia e possono impedire ai proletari stranieri di invadere il nostro Paese".

- Cezar Bolliac, rivoluzionario del 1848, si lamenta del parassitismo degli ebrei: "È terribile, signori miei, vedere l’estensione giorno per giorno di questa funesta congregazione, ma più terribile ancora è pensare che da nessuna parte essa sia più radicata così profondamente come da noi".

- Mihail Kogălniceanu, prestigioso uomo di Stato, intensifica nel 1869 il processo di eliminazione degli ebrei dai villaggi romeni, privandoli dai mezzi di sussistenza: "Vedrete che la Moldavia è esaurita, è sfruttata dai bettolieri e commerciani ebrei; vedrete che in Moldavia un ebreo entra in un villaggio povero come Giobbe e dopo 2-3 anni va via con grandi capitali, vedrete le sanguisughe dei villaggi della Moldavia". Interpellato dai governi democratici occidentali, il politico romeno si avvale con orgoglio del diritto alla non ingerenza negli affari interni: "Ecco il discorso che ho fatto davanti agli stranieri, ho detto che noi non riconosciamo ai poteri stranieri il diritto all’ingerenza nei nostri affari amministrativi interni".

- Bogdan Petriceicu Hasdeu, personalità di livello enciclopedico, giustifica nel 1866 l’odio che gli ebrei dovrebbero attirare su loro stessi con tre elementi: "la tendenza dei guadagni senza lavoro, la mancanza del senso di dignità e l’odio contro tutti i popoli".

- Vasile Conta, filosofo riconosciuto, afferma nel 1879 che l’intenzione degli ebrei è di cacciare via i Romeni dalla Romania per farsi qui uno Stato ebreo e dichiara nel Parlamento: "Se non combattiamo contro l’elemento ebreo, moriamo come nazione".

- Vasile Alecsandri, importante poeta romeno, attira l’attenzione nel 1879 sul fanatismo religioso degli ebrei e sul carattere occulto della loro azione: "La loro patria è il Talmud! Il loro potere è senza misura, visto che altri due poteri costituiscono le loro basi e il loro appoggio: la frammassoneria religiosa e l’oro".

- Ioan Slavici, prosatore classico transilvano, nel suo libro Questione degli ebrei della Romania (1878), li caratterizza come una "malattia" e propone la soluzione radicale, prefigurando in modo sorprendente l’Olocausto: "Non ci rimane altro da fare che, ad un cenno, chiudere le frontiere, strozzare tutti quanti, buttarli nel Danubio fino all’ultimo, e così non ce ne rimarrà proprio nessuno".

- A.D. Xenopol, storico prestigioso, dichiara nel 1902 che solo gli ebrei battezzati dovrebbero godere della cittadinanza romena, e invece quelli che non si sono ancora convertiti dovrebbero essere cacciati via dal Paese.

- Nicolae Iorga, brillante personalità della storiografia romena, intellettuale enciclopedico e figura emblematica della politica nazionale, esorta nel 1937 alla segregazione degli ebrei dalla società e alla mobilitazione generale contro l’elemento allogeno: gli ebrei "si impegnano ad avere per loro, come nazione di invasori, il massimo. Perfino le professioni liberali, perfino nell’insegnamento, nelle scienze, in letteratura, come avvocati, come medici, come architetti, come professori, sempre più numerosi, con i filologhi, i giornalisti, i poeti, con le loro critiche, ci cacciano effettivamente via dal nostro Paese… Loro strangolano le nostre chiese, sostituiscono la nostra moralità con l’oppio giornalistico e letterario con il quale ci incitano. (…) Noi ci dobbiamo organizzare per la guerra della coscienza e del lavoro. Ci dobbiamo raggruppare tutti quanti assieme, là dove ci troviamo ancora. E dobbiamo iniziare la marcia della riconquista, con la fatica di ogni giorno e con la perfetta collaborazione, rompendo i nostri legami con quelli che vogliono sostituirci, e dobbiamo riprenderci tutto quello che abbiamo già perso. / Loro tra di loro, per loro, come l’hanno voluto. Noi tra di noi, così lo dobbiamo volere!".

- Octavian Goga, poeta dell’unità nazionale (ma anche politico corrotto), prima di promuovere le leggi antisemitiche che toglievano via la cittadinanza romena e i diritti civili a decine di migliaia di ebrei, nel 1935 se la prendeva con la mentalità e la moralità dell’etnia minoritaria: "Persone senza tomba nei camposanti romeni credono di poter dirigere la nostra anima, l’impulso materiale del nostro pensiero, si immaginano che qualsiasi nostra manifestazione morale sia il loro patrimonio, ci mettono sopra le loro mani sporche, fanno della loro stampa effettivamente un mezzo di corruzione morale della società romena".

E poi, quando le parole avevano raggiunto la loro meta, ci si sono aggiunti i fatti: l’Olocausto in Romania. Ne sono rimasti uccisi tra 280.000 e 380.000 esseri umani.

(luglio 2006)